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La rivoluzione di Libero Grassi partita 30 anni fa dal Giornale di Sicilia

Sono passati esattamente trent'anni da quando Libero Grassi, imprenditore tessile divenuto icona dell'antiracket suo malgrado, affidò al Giornale di Sicilia il messaggio in cui senza mezzi termini annunciava che non avrebbe mai ceduto a chi gli chiedeva il pizzo. Per celebrare la ricorrenza, Giancarlo Macaluso ricorda quel rivoluzionario giorno sulle pagine del Gds in edicola, onorando la memoria dell'imprenditore poi ucciso dalla mafia.

«Caro estortore...»

«Volevo avvertire il nostro ignoto estortore - scriveva Libero Grassi - di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui».

L’esempio solitario

Quel rifiuto fu un modello di comportamento, di coerenza, di impegno. Ma pure la sua condanna a morte. Che poi avvenne il 29 agosto del 1991. Del resto non era facile fare Libero Grassi in quegli anni. Gli industriali voltarono la faccia dall’altra parte e persino la magistratura dava segnali di scandalosa sottovalutazione. Il 28 marzo del 1991 a Catania il giudice Luigi Russo mandò assolti i cosiddetti «cavalieri del lavoro» dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Il magistrato giustificò i loro rapporti con il boss Santapaola, sostenendo che le tangenti girate al clan sarebbero state pagate per necessità. Un giudizio che Grassi definì scandaloso. «Anzi - commentò - la sentenza del giudice Russo suggerisce agli imprenditori un vero e proprio modello di comportamento: pagate i mafiosi. E quelli che come me invece cercano di ribellarsi?». Per quelli, c’era la morte in agguato.

«Oggi per fortuna non è più così. Mio padre dovette scegliere di mettere in campo un’azione così plateale - dice Alice Grassi - nel tentativo di scuotere le coscienze. Di questi tempi chi voglia denunciare il pizzo lo può fare in sicurezza, senza rischiare, assistito dalle associazioni. Se questo è accaduto è anche merito suo». La figlia dell’imprenditore, col fratello, hanno continuato a diffondere nelle scuole e nei posti in cui vengono invitati i valori che ispirarono il loro padre e anche la madre che infaticabilmente portò fieramente avanti lo stendardo di quella lotta. Alice oggi conduce un negozio di tessuti per arredamento in linea con una lunghissima tradizione di famiglia. Ma le piacerebbe che le istituzioni, ad esempio, fossero più veloci nelle decisioni, meno intrise di una burocrazia che a volte riesce a uccidere i progetti più belli. Come quelli del parco intitolato al padre, nella costa sud. «Siamo fermi ancora alla faccenda della bonifica - racconta -. In questa fase tutto è in mano alla Regione. Il fatto è che non si può perdere una tale quantità di tempo per fare le cose. Ogni 29 agosto a parole ci sono molte promesse e tanta buona volontà. Ma appena passa quella data non se ne parla più...».

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