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Cassazione: l'omosessualità della moglie è motivo di annullamento delle nozze

L’omosessualità della moglie, anche nel caso di un matrimonio durato più di dieci anni e arricchito dalla nascita di tre figli, è stato riconosciuto dalla Cassazione come motivo valido per la delibazione di una sentenza ecclesiastica di annullamento delle nozze, in questo caso di una coppia pugliese, insieme all’esclusione della indissolubilità del vincolo da parte del marito.

Invano il Pg della Suprema Corte - Francesca Cerioni, magistrata specializzata in diritto della famiglia e delle persone - si è opposto parlando di decisione «discriminatoria» della «libertà sessuale e affettiva» della donna considerata, dalla sentenza emessa dal Tribunale ecclesiastico regionale della Puglia e recepita dalla Corte di Appello di Lecce nel 2017, come affetta da «malattia psichica».

Nel respingere la richiesta della Procura di non annullare il matrimonio di Antonio M. con Anna P., i supremi giudici della Prima sezione civile della Cassazione hanno escluso di inviare il caso alla Corte europea dei diritti umani non ravvisando elementi di discriminazione. Hanno inoltre fatto presente che sebbene sia tuttora in vigore l’orientamento che esclude la nullità delle nozze durate almeno tre anni, la circostanza che la moglie - parte in causa di questa vicenda - sia rimasta contumace nel giudizio e non si sia lamentata dell’esito, esclude che si possa rimettere mano alla decisione ecclesiastica.

«La contumacia - ha obiettato il Pg Cerioni- non è univocamente indicativa del disinteresse per il risultato della controversia, e il diritto alla vita privata e familiare di Anna P., necessitano della tutela officiosa del giudice o almeno del Pg, custode dei diritti spiccatamente pubblicistici del procedimento di delibazione».

Spesso poi dietro la contumacia, questo il ragionamento del Pg, si nasconde il soggetto più debole, anche economicamente. Niente da fare. Per la mancanza di reazione della moglie 'presunta' gay, la Cassazione ha ritenuto «non in contrasto con i principi dell’ordine pubblico italiano» il verdetto del tribunale ecclesiastico che ha ritenuto Anna «incapace» ad assumere «gli obblighi essenziali del matrimonio per cause di natura psichica». Così il motivo di annullamento di questo matrimonio celebrato in chiesa e abito bianco nel 1990, e svoltosi felicemente per dieci anni fino alla nascita del terzo figlio, è stato equiparato all’ipotesi della «simulazione» da parte di Anna che alla lunga avrebbe manifestato «una crescente insofferenza per la vita coniugale».

Fino alla fine, il Pg Cerioni ha dato battaglia contro il «pregiudizio» verso Anna, giudicata «affetta da disturbo grave della personalità», da una «malattia» che «avrebbe minato il suo consenso». (ANSA)

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