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Coronavirus, 1500 è il numero di telefono se si hanno sintomi: "Non andate al pronto soccorso"

Gli ospedali italiani sono pronti a fronteggiare l'emergenza coronavirus. E almeno al momento non ci sono segnalazioni di carenza di materiale di alcun tipo, come mascherine o abbigliamento protettivo e le procedure sono state già definite. Il vero pericolo, come spiega Francesco Ripa di Meana, presidente della Fiaso, l'organizzazione che riunisce le aziende sanitarie italiane, si nasconde nella psicosi, nei comportamenti irrazionali che possono provocare problemi organizzativi ma anche un aumento del rischio dei contagi.
Cosa fare se si hanno sintomi sospetti. La raccomandazione è chiara: ''Non andate al pronto soccorso", dice Ripa di Meana. Un appello lanciato da tutti gli esperti per evitare che i contagi si possano moltiplicare in un luogo già spesso congestionato di presenze, soprattutto in un momento dell'anno come questo, quando i casi di influenza stagionale sono ancora molto numerosi, provocando complicanze che causano un aggravio di lavoro nelle strutture dell'emergenza.
''I cittadini se hanno dubbi sulle proprie condizione di salute, a causa dell'infezione del coronavirus, devono chiamare per le informazioni il numero verde del ministero della Salute 1500, il 118, o possono rivolgersi al medico di famiglia'' ricorda. Un appello al rispetto di procedure di sicurezza che si aggiunge a quello dei medici di famiglia che hanno messo a punto un triage telefonico, prima di una visita, per evitare che si possano moltiplicare le occasioni di contagio.
La macchina formalmente e operativamente, assicura Ripa di Meana, si è già messa in moto da tempo. Le aziende sanitarie, infatti, hanno ricevuto dalle regioni tutta una serie di indicazione su come gli ospedali si devo attrezzare. Una circolare del ministero della Salute aveva indicato anche le norme per la protezione degli operatori esposti al rapporto con il pubblico. Le preoccupazioni sono, inevitabilmente, fortemente aumentate dopo i casi emersi degli ultimi giorni nelle regioni del Nord Italia, anche per i contagi fra medici e infermieri.

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