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Mafia, parla l'ex boss di Brancaccio Graviano: "Concepii mio figlio in carcere"

Il boss e stragista di cosa nostra Giuseppe Graviano

«Concepii mio figlio grazie ad una distrazione degli agenti del Gruppo operativo mobile». Giuseppe Graviano, l’ex boss di Cosa nostra capo del mandamento di Brancaccio a Palermo dice e non dice ma fa comunque una rivelazione importante che riguarda la sua sfera privata (e non solo), al processo in Corte d’assise «'Ndrangheta stragista» in corso a Reggio Calabria.

Graviano, già condannato per le stragi del '92-'93 e per l'omicidio di don Pino Puglisi, è imputato insieme a Rocco Santo Filippone, uomo di fiducia dei Piromalli di Gioia Tauro, di essere stato il mandante dell’agguato in cui furono uccisi gli appuntati dei carabinieri Giuseppe Fava e Antonino Garofalo, assassinati nel gennaio del 1994 nell’ambito, secondo l’accusa, del progetto stragista portato avanti da Totò Riina. In videoconferenza dal carcere in cui è detenuto, l’ex boss palermitano, incalzato dal Procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, spiega dallo schermo installato nell’aula bunker che «sulla procedura di concepimento mi istruì un ginecologo che non posso certo nominare».

Poi, però, evita accuratamente di rispondere sulle modalità pratiche utilizzate per concepire il figlio quando, nel 1998, era detenuto in regime di carcere duro nel penitenziario dell’Ucciardone a Palermo. E davanti alle domande del pm Lombardo, che insiste per saperne di più, elude le risposte e mostra chiaramente di non voler fornire ulteriori chiarimenti. A sette giorni di distanza dalla precedente udienza, nel corso della quale dopo 26 anni aveva rotto il silenzio sui rapporti con Silvio Berlusconi arrivando anche a dire di averlo incontrato tre volte da latitante (tesi respinta dalla difesa dell’ex premier), Graviano torna sulle scelte adottate dall’ex Cav quando era Presidente del Consiglio, addebitandogli ancora il fatto di non avere onorato i patti e di avere tradito molte delle attese, in particolare con «il mantenimento del regime carcerario del 41bis e la mancata abolizione dell’ergastolo». «Anche Marcello Dell’Utri - dice - è stato tradito da Berlusconi».

Il boss glissa, invece, sulle domande relative ai contenuti delle intercettazioni ambientali raccolte dagli inquirenti durante la comune detenzione con il camorrista pentito Umberto Adinolfi. L’ex boss, in quella circostanza, aveva parlato con Adinolfi sia del «tradimento di Berlusconi, non solo per gli investimenti immobiliari a Milano per venti miliardi di lire, ma per avere aggravato la legislazione antimafia che ha danneggiato pure lui». Inoltre, nell’intercettazione del colloquio a bassa voce con Adinolfi, Graviano faceva riferimento ad un personaggio, «uno che se si pente salta tutto», rimasto allo stato ignoto.

Alle domande di Lombardo sul punto, Graviano, però, non ha dato alcuna risposta. L’ex capo del mandamento di Brancaccio ha respinto ogni responsabilità in ordine alle testimonianze dei pentiti Spatuzza e Tranchina sui rapporti con la 'ndrangheta e sulle strategie della tensione per costringere lo Stato, con gli attentati dinamitardi e gli attacchi all’Arma dei carabinieri, alla 'trattativà per accettare i canoni scritti da Totò Riina nel suo 'papello'. Alla prossima udienza del processo «'Ndrangheta stragista», fissata per il 21 febbraio e che prevede la prosecuzione dell’esame di Graviano, sarà anche presente l’ex magistrato Antonio Ingroia nella veste di difensore di parte civile delle famiglie degli appuntati Antonino Fava e Vincenzo Garofalo.

(ANSA)

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