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Mafia, i giudici sull'arresto di Nicosia: "Faceva gli interessi di cosa nostra"

Antonello Nicosia, in carcere dal 25 novembre, è «soggetto pienamente intraneo all’associazione mafiosa e ha realizzato nel tempo e con costanza le attività tipiche del sodalizio criminale, contribuendo concretamente e indiscutibilmente alla realizzazione del progetto mafioso di controllo del territorio». E’ quanto emerge dalle motivazioni, depositate in questi giorni, dell’ordinanza del 16 dicembre scorso, con cui il Tribunale del riesame di Palermo aveva confermato l’arresto dell’ex esponente radicale ed ex assistente parlamentare di Giusy Occhionero, nell’ambito di questa vicenda, indagata per falso.

Il collegio presieduto da Lorenzo Jannelli è molto duro, nell’aderire alle tesi del pool della Dda coordinato dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dai pm Gery Ferrara e Francesca Dessì: «Particolarmente insidiosa ed esecrabile - si legge nell’ordinanza - si è rivelata la dolosa strumentalizzazione per gli interessi mafiosi delle facoltà connesse all’esercizio dei controlli penitenziari riservati alla funzione parlamentare».

Nicosia andava infatti nei penitenziari di massima sicurezza e, sfruttando il proprio doppio ruolo di radicale impegnato per far rispettare le condizioni di umanità nelle carceri e di assistente della deputata molisana, incontrava anche i boss detenuti al 41 bis. Le intercettazioni hanno poi dimostrato che gli incontri venivano fatti per conto di Cosa nostra, dopo aver strumentalizzato anche «la buona fede di coloro (tra associazioni per i diritti dei detenuti e partiti politici) che si battono per il rispetto dei diritti dei detenuti».

Fra le persone incontrate Filippo Guttadauro, cognato di Matteo Messina Denaro, il superlatitante di Castelvetrano che, in un messaggio vocale indirizzato alla Occhionero, era oggetto - scrive il presidente-estensore Jannelli - di una «singolare orazione verso 'San Matteo che comanda'».

 

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