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Palermo, l'incendio sulla nave Florio della Tirrenia: processo bloccato, si rischia la prescrizione

Incendio sul traghetto Florio della Tirrenia

Rischia di rimanere senza colpevoli il processo sull’incendio della nave Tirrenia, che collegava Napoli a Palermo, avvenuto la notte tra il 28 e il 29 maggio 2009. A bordo del traghetto c’erano 513 passeggeri e 53 componenti dell’equipaggio che furono evacuati con scialuppe di salvataggio. I mezzi nella nave andarono tutti distrutti.

Per il rogo, sono imputati il comandante Aurelio Oliviero, il direttore di macchina Pasquale Cummaro, il primo ufficiale di macchina Gaetano Veniero e il responsabile dell’ufficio tecnico della Tirrenia, Antonio Vendittis, che avrebbe ordinato le ventole dell’impianto antincendio in un numero insufficiente e senza fornire i particolari alla ditta.

Dall’inizio della vicenda le accuse agli imputati sono cambiate più volte: passando, tra l’altro, nel gennaio del 2016, dal reato di “disastro colposo” (449, c.2)  a quello di “naufragio colposo” (450, c.1) e i tempi si sono dilatati. Nel 2017 il Tribunale ha accolto un’istanza degli avvocati degli imputati che hanno ammesso di non aver potuto adeguatamente interloquire dopo l’ennesimo cambio di imputazione a carico dei loro assistiti in udienza preliminare.

La tesi è stata accolta dal collegio che ha deciso per la nullità del decreto e la “regressione” del procedimento all’udienza preliminare: da decidere quale reato contestare, se il 449 c.p. comma 2 o il 450 c.p. comma 1.

“Da quel giorno il silenzio più assoluto. Si è tornati al punto di partenza e a 10 anni dal rogo ancora tutto tace”. Lo afferma l’avvocato Marco Traina, del Foro di Palermo, che difende 9 persone tra dipendenti della Tirrenia, operatori di bordo e passeggeri. Sono oltre 200 i soggetti che si sono rivolti ai legali per avere riconosciuto un risarcimento.

“Il processo si è arenato. In questi anni, tra l'altro, la Tirrenia è stata dichiarata fallita e al momento non solo nessuno è stato risarcito ma non è stata neanche fissata l’udienza”. Tra i clienti dell’avvocato Traina c’è la signora Amalia Basile, vedova di Antonino Di Franco, morto il 20 dicembre del 2014 per tumore ai polmoni la cui origine sarebbe stata causata dall’inalazione dei fumi del rogo. Di Franco, infatti, dipendente della Tirrenia, stava svolgendo le mansioni di operatore di bordo. Fu tra i primi ad accorgersi dell’incendio e tra i primi ad essere esposto ai fumi.

L’uomo, dopo il rogo, cominciò a soffrire di gravi problemi di respirazione che lo hanno portato, dopo anni di costose cure, alla morte nel 2014. Circa 40 persone, di cui 18 dell'equipaggio, fecero ricorso alle cure dei sanitari. Tra loro una donna di 29 anni incinta e un ragazzo di 15. “Per molti – dichiara l’avvocato - è stato deciso il trattamento in camera iperbarica. Tra i miei clienti c’è anche chi è stato sottoposto a due trattamenti”.

“Il 449 comma 2 prevede la prescrizione in tredici anni e noi vogliamo che passi questa tesi ma in fase di udienza preliminare era stato contestato un altro reato, ovvero il 450 comma 1, per il quale la pena è prescritta in 7 anni e mezzo e dunque sarebbe già stato prescritto. La “regressione” è stata decisa perché deve essere definito quale dei due reati contestare. Se viene contestato il 450 il processo è già finito”, ammette. “Non è possibile – conclude l’avvocato Traina – che una vicenda di tale gravità finisca in prescrizione”.

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