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Se solo per commemorare il saluto fascista non è reato

ROMA. Non è reato il saluto romano se ha intento commemorativo e non violento: segni e simboli dell'ideologia fascista in sé non sono vietati dalla legge, possono essere considerati una libera manifestazione del pensiero.

Sono vietati però se costituiscono un attentato concreto alla tenuta dell'ordine democratico. La Cassazione ha così definitivamente assolto due esponenti di Casapound, Marco Clemente e Matteo Ardolino, che durante una commemorazione organizzata a Milano nel 2014 da esponenti di Fratelli d'Italia, rispondendo alla "chiamata del presente", avevano alzato il braccio destro facendo il saluto fascista.

Un gesto che gli era valsa un'imputazione per "concorso in manifestazione fascista", reato previsto all'articolo 5 della legge Scelba'. I fatti si svolsero il 29 aprile 2014 alla commemorazione dello studente Sergio Ramelli e dell'avvocato Enrico Pedenovi uccisi negli anni '70 e di Carlo Borsani militare e stretto collaboratore di Mussolini.

La manifestazione era stata regolarmente autorizzata dalla questura, ma nei giorni precedenti gli organizzatori erano stati diffidati dall'utilizzare bandiere e simboli quali le croci celtiche. Nonostante l'inosservanza del divieto, si era scelto di far proseguire il corteo solo per ragioni di ordine pubblico.

I due imputati erano stati immortalati in un video assieme ad altri manifestanti, tra cui il cantante 'Skoll' e l'ex consigliere provinciale di Fratelli d'Italia Roberta Capotosti, anch'essi finiti sotto processo, giudicati separatamente e prosciolti in via definitiva nel 2016. In quell'occasione la stessa Cassazione aveva sottolineato che il reato previsto dalla legge Scelba è "reato in pericolo concreto, che non sanziona le manifestazioni del pensiero e dell'ideologia fascista in sé, attesa le libertà garantite dall'articolo 21 della Costituzione, ma soltanto ove le stesse possano determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste, in relazione al momento e all'ambiente in cui sono compiute, attentando concretamente alla tenuta dell'ordine democratico e dei valori ad esso sottesi".

Con la stessa motivazione, anche nel caso dei due di Casapound la Cassazione (sentenza n. 8108) ha respinto il ricorso del pg di Milano, confermando le decisioni del gup e della Corte d'appello di Milano (quest'ultima del 21 settembre 2016). I giudici della Suprema Corte hanno condiviso il percorso che ha portato alle decisioni di merito: la legge non punisce "tutte le manifestazioni usuali del disciolto partito fascista, ma solo quelle che possono determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste", i gesti e le espressioni "idonei a provocare adesioni e consensi".

E il saluto romano fatto dagli imputati non è stato ritenuto tale. Anche se vi era stata ostentazione di simboli i giudici hanno escluso che la manifestazione avesse assunto connotati tali da indurre "sentimenti nostalgici in cui ravvisare un serio pericolo di riorganizzazione del partito fascista".

Nell'argomentare la propria decisione, la Cassazione fa degli esempi, in cui al contrario, vanno ravvisati invece gli estremi del reato di manifestazione fascista: è il caso di chi intona "all'armi siamo fascisti", considerata una professione di fede e un incitamento alla violenza, o di chi compie il saluto romano armato di manganello durante un comizio elettorale.

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