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Omicidio a Catania, dopo 27 anni la Cassazione dice "no" all'archiviazione

Corte di Cassazione

ROMA. Il duplice omicidio di Francesco Vecchio e Alessandro Rovetta, avvenuto 27 anni fa a Catania, deve essere riconsiderato dalla procura: lo ha stabilito la Cassazione. La sentenza è della Prima Sezione Penale, presidente Maria Stefania Di Tomassi, relatore Stefano Aprile, e riconosce le ragioni dei ricorrenti, la moglie di Francesco Vecchio, Elvira Chiarenza, e il figlio Salvatore, annullando il decreto di archiviazione emesso dal gip di Catania il 30 Giugno 2016, sulla base della richiesta della procura. La Cassazione ha pertanto deciso di trasmettere gli atti alla procura di Catania.

Francesco Vecchio era un imprenditore originario di Acireale che, con Alessandro Rovetta, venne crivellato di colpi di arma da fuoco il 31 ottobre 1990 nella zona industriale di Catania, a poca distanza dalle Acciaierie Megara dove entrambi lavoravano, un omicidio la cui mano è ancora sconosciuta ma la cui matrice è ritenuta di origine mafiosa. "E' una decisione che alimenta la speranza.

Anche La Commissione Antimafia e in particolare il V Comitato, da me presieduto - afferma il deputato pd Davide Mattiello - ha recentemente ascoltato Salvatore Vecchio volendo raccogliere in atti parlamentari la memoria di una vicenda che merita attenzione e che speriamo possa ancora essere illuminata dalla verità giudiziaria.

Il duplice omicidio di Vecchio e Rovetta, entrambi con responsabilità aziendali apicali, commesso a Catania il 31 Ottobre del '90, cioè in una città che viveva nella morsa del potere mafioso dei Santapaola, ricorda altri omicidi di persone perbene, che hanno pagato con la vita la propria normale coerenza ai doveri professionali. Non persone impegnate contro le mafie, ma persone che hanno rivendicato semplicemente il diritto di fare il proprio dovere.

Mi viene in mente l'avvocato Serafino Famà, ucciso anche lui a Catania nel 1995. In Italia questo tipo di normalità è spesso rivoluzionario e si paga a caro prezzo, per questo ogni sforzo che possa essere ancora fatto per scoprire la verità è benedetto. La pena dei familiari sopravvissuti non si prescrive mai, non esiste il conforto dell'oblio. Può esistere soltanto il conforto della verità, che per lo Stato non dovrebbe mai avere un prezzo troppo alto".

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