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L'ultimo addio ad Emanuele, ucciso dal branco: "Ora vogliamo giustizia"

ROMA. Il bianco dei palloncini e dei fiori contro la «ferocia spietata», il bianco del feretro di chi è "morto da innocente» contro la violenza cieca, le lacrime contro l'odio. La folla che ha gremito la chiesa di Tecchiena, la frazione di Alatri in provincia di Frosinone dove era nato e vissuto, ha salutato così Emanuele Morganti, il ragazzo di 20 anni massacrato un settimana fa dalla violenza cieca del branco.

Una morte ancora senza un perché inflitta in 15 minuti di sprangate, calci e pugni all’uscita di un locale ad Alatri. Tutti gli amici si sono dati il cambio per portare a spalla un pò il loro Emanuele dalla casa fino alla chiesa, gremita già dalla mattina. E anche la sorella Melissa l’ha portato nell’ultimo tratto, a discapito del suo corpo esile e del dolore forte che portava dentro. Tutti loro avevano indosso una maglietta bianca con un cuore sul davanti e all’interno una foto di Emanuele sorridente, dietro la frase «quando ormai si vola, non si può cadere più».

«Una ferocia disumana, barbara e spietata si è abbattuta su Emanuele», ha esordito nell’omelia il vescovo di Anagni-Alatri, Lorenzo Loppa, che ha provato a rispondere alle domande di chi non si da pace per quanto è successo: «Signore dov'eri quando Emanuele veniva pestato a sangue? Ero in quel corpo martoriato, morivo lì un’altra volta». E allora, per sconfiggere quella violenza che è ormai «dappertutto» non bisogna rispondere con la "vendetta» ma scegliendo la «non violenza come stile di vita».
Per la morte di Emanuele sono in carcere i due fratellastri Mario Castagnacci e Paolo Palmisani, accusati di omicidio volontario aggravato dai futili motivi. Quattro buttafuori ed il padre di Castagnacci sono indagati per rissa. Tra le ipotesi investigative ci sarebbe quella di una vendetta del branco contro Emanuele «colpevole» di aver difeso un anno fa una ragazza che stava litigando con il fidanzato, amico dei due fermati. Intanto proseguono le indagini e nuovi accertamenti sono stati fatti dai carabinieri sul luogo del massacro.

Lucia, la mamma di Emanuele che ha voluto vestire suo figlio per l’ultimo viaggio, è distrutta ma con un filo di voce, al termine della Messa, chiede la parola per ringraziare tutti: "ricordate mio figlio nelle vostre preghiere e salvate i nostri ragazzi dalle inquietudini, Dio non lo ha chiamato perché cattivo ma lo ha solo ricevuto dalla cattiveria degli uomini. Emanuele era un caciarone che ci faceva sentire vivi». A parlare, straziata dalle lacrime è anche la sorella Melissa che Emanuele chiamava Minna: «il tuo nome lo avevo scelto io - ricorda - perchè significa speranza e amore. E adesso si faccia giustizia e chi ti ha portato via abbia un nome. Grazie amore mio di aver reso speciale il nostro viaggio fin qui, continua a prenderti cura di noi».

Un lunghissimo applauso ha accolto l’uscita del feretro dalla chiesa e contemporaneamente nel cielo sono state liberate due colombe bianche e decine di palloncini, su ognuno dei quali era scritto un messaggio. Qualcuno ha gridato 'ciao Emanuele!', come se non fosse un saluto definitivo. E allora forse ha ancora più senso chi, in uno dei palloncini, ha scritto: «non è un addio Morgà!».

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