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Nelle intercettazioni Alfano e l'assunzione del fratello: "Non sono coinvolto"

ROMA. Una mina sulla polveriera Ncd, un macigno nel mare già agitato della maggioranza di governo. La comparsa del nome di Angelino Alfano nelle intercettazioni dell'inchiesta 'Labirintò si abbatte, di prima mattina, sulle fibrillazioni centriste, rischiando di acutizzare il redde rationem al quale il principale alleato del Pd nell'esecutivo sembrava prepararsi con la riunione tra il ministro dell'Interno e i suoi senatori.

Riunione che viene rinviata 'in zona Cesarinì con la motivazione del contemporaneo arrivo delle salme degli italiani uccisi a Dacca ma con la consapevolezza che, questa volta, i centristi rischiavano davvero l'implosione. Da settimane, infatti, Ncd fa i conti con un dissenso interno che vede in diversi (da Maurizio Sacconi a Roberto Formigoni) spingere per l'uscita dal governo già prima del referendum.

Un dissenso che al Senato è numericamente rilevante e che, complici i risicati numeri della maggioranza a Palazzo Madama, preoccupa anche il Pd. In questo quadro si inseriscono le intercettazioni che coinvolgono il fratello di Alfano e nelle quali compare anche il nome del titolare del Viminale.

«Siamo di fronte al ri-uso politico degli scarti di un'inchiesta giudiziaria», è la ferrea difesa del ministro, che sottolinea come «le intercettazioni non riguardano me, bensì terze e quarte persone che parlano di me» e punta il dito contro «il lungo capitolo dell'uso mediatico delle intercettazioni». Ma, nonostante le nette parole del ministro e benchè il dissenso in Ncd non abbia nulla a che vedere con l'inchiesta 'Labirintò, il caso Alfano a Palazzo Madama tiene banco per l'intera giornata.

Capannelli centristi e visi lunghi segnano il Salone Garibaldi e sembrano spalancare le porte ad una riunione del gruppo - prevista in serata - altamente esplosiva mentre alla Camera il M5S chiede con insistenza che il responsabile dell'Interno riferisca in Aula. Poi, nel pomeriggio, si opta per il rinvio dell'incontro. Rinvio chiesto dal capogruppo Renato Schifani per «permettere ai senatori di partecipare, nelle forme opportune, al dolore» per la strage di Dacca. Rinvio che, in diversi centristi, si affrettano a definire come una «scelta saggia».

La riunione, a quanto si apprende, potrebbe tenersi la prossima settimana e forse, allora, gli animi saranno più calmi. Anche perchè oggi, spiega un 'big' di Ncd, non era aria, c'era troppa aspettativa su quest'incontro. Incontro che, sottolinea più di un malpancista, probabilmente non avrebbe decretato alcuna uscita dal gruppo ma avrebbe forse certificato le lacerazioni interne ai centristi. Lacerazioni moltiplicatesi con l'emergere del 'caso Alfano' che, complice il timore di nuove intercettazioni, alimenta tra i centristi la sensazione di un «tiro al piccione» contro Ncd, l'idea che ci sia una volontà di colpire Alfano così come si colpì Lupi.

Nel Pd, sul caso giudiziario, vige la consegna del silenzio ma a taccuini chiusi la tendenza è quella di minimizzarlo. Non sono, invece, da minimizzare per i Dem le tensioni che da tempo segnano Ncd, divisa tra chi, come Alfano, mira a un quarto polo moderato e a restare nel governo almeno fino al referendum sulle riforme, e tra chi guarda invece a un centrodestra a trazione moderata. Due tesi contrapposte, che ieri, in una Direzione alla quale avrebbero partecipato solo 4 senatori, si sono scontrate nelle persone di Sergio Pizzolante (che guarda a un fronte sistemico contro il populismo di destra e sinistra) e Maurizio Lupi, che guarda invece al 'modello Parisi'. E c'è poi chi, in Senato, vorrebbe rompere gli indugi già prima dell'autunno, sebbene l'uscita dal gruppo abbia come controindicazione la 'vaghezza della nuova destinazione'. C'è un solo punto in cui tutti in Ncd sono d'accordo: cambiare l'Italicum inserendo il premio alla coalizione.

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