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Mafia, Scalia: «I clan agrigentini in stretti rapporti con i trapanesi»

PALERMO. Lo aveva anticipato la Dia qualche anno fa. «Agrigento è uno zoccolo duro della mafia. Una zona dove per per cultura e difficoltà economiche Cosa nostra ha la possibilità di guardare al terzo millennio senza temere contraccolpi». Era il 2010, la relazione venne inviata al Parlamento nazionale. Sei anni dopo la situazione è rimasta, ovviamente, tale e quale. Ed alla luce delle vicende registrate con i video dei carabinieri, che riprendono i boss comunicare ancora con i pizzini, e in preda a un delirio di estrema diffidenza parlare solo in aperta campagna, tra i viottoli, in mezzo ai canneti, quelle parole hanno tutto il valore di una profezia

«I mafiosi di Agrigento - spiega Maurizio Scalia, procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Palermo - sono estremamente prudenti. L’ordinanza di custodia cautelare che ha accolto le nostre richieste ci dice che gli incontri spesso sono preceduti da una serie di telefonate assolutamente neutre. Poi le persone si incontrano senza fare mai riferimento al merito dell’incontro. E poi non parlano mai in casa, in macchina, i dialoghi avvengono in aperta campagna. Questa arretratezza, se così vogliamo chiamarla, in qualche modo è la forza di questi soggetti. Perché così le indagini diventano difficili».

Dottore Scalia, i mafiosi si riunivano a Sambuca. E tra tra alberi e stradine rurali c’erano presenze mafiose di Agrigento, ma anche di Palermo e Trapani. Si può parlare di vertici allargati? Di summit interprovinciali?
«Gli incontri, quelli più importanti con al centro Leo Sutera, condannato per mafia con sentenza definitiva, documentati dai vari servizi di osservazione dei carabinieri, sono anteriori di pochissimo, alcuni, all’arresto di Sutera (avvenuto nel 2013 con l’operazione ”Nuova Cupola”). Danno il segno di una vitalità dell’organizzazione in quella parte di provincia di Agrigento, dei contatti con esponenti di Palermo con cui lui ha avuto contatti, tenuti anche attraverso altri fra i soggetti arrestati stanotte. D’altra parte c’è questa attività di agevolazione sia da parte degli uomini di Sambuca, sia da parte di Genova, che secondo la valutazione è il capo della famiglia mafiosa di Burgio. Questi incontri, insomma, avevano una dimensione intermandamentale. Che poi i confini sono abbastanza labili, certe volte quelle dei mandamenti sono ricostruzioni molto giornalistiche. Ma sicuramente esistono. Del resto, dall’operazione ”Icaro” viene fuori che quando ci sono dei lavori, in una zona, e l’impresa è di un’altra provincia o regione, i confini hanno un senso. Ma ci sono rapporti tra province e le riunioni che avvenivano nelle campagne di Sambuca di Sicilia ne sono la dimostrazione».

Il nome di Leo Sutera è inevitabilmente legato a quello di Matteo Messina Denaro, val la pena ricordare che ci fu una polemica a proposito dell’opportunità del suo arresto nel 2013, perché era considerato l’ultimo anello di congiunzione con il boss di Castelvetrano. E le possibilità di cattura, si disse, vennero incrinate dall’arresto.
«Per noi è importante il fatto che, comunque è accertato dalla nostra ricostruzione, dagli interrogatori di garanzia e presumibilmente del Riesame (siamo sub judice), che esistono questi rapporti fra i clan agrigentini e quelli palermitani e diverse famiglie del mandamento di Trapani. Poi emerge che tradizionalmente questa ala di Cosa Nostra agrigentina che farebbe capo a Leo Sutera è vicina alle cosche trapanesi. Risulta anche dalle indagini dell’operazione ”Nuova Cupola” ed è confermato dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia di Menfi Calogero Rizzuto ed anche da Giovanni Brusca. Rilevanti alcuni pizzini che gli sono stati ritrovati in passato. Per noi è importante avere accertato questi collegamenti, con l’obiettivo di disarticolare l’organizzazione mafiosa».

Ma non ci sarebbe da stupirsi se le indagini per arrestare il superlatitante Matteo Messina Denaro si spingessero anche in provincia di Agrigento, che dei latitanti mafiosi è sempre stata considerata una sorta di «zona protetta».
«Di questo si occupano le forze dell’ordine, altro non posso dire. Sia perché non sarebbe corretto, sia perché non sono indagini che conduco io. È ovvio che quella per la cattura di Matteo Messina Denaro non è certamente un’indagine limitata ad un territorio ristretto».

Nelle carte processuali Leo Sutera viene spesso indicato come il capo della provincia mafiosa di Agrigento. Cioè avrebbe preso il posto che fu di Giuseppe Falsone e prima di Maurizio Di Gati, diventato collaboratore di giustizia. Ma attualmente chi comanda la mafia di Agrigento?
«Secondo le acquisizioni, sopratutto quelle che portarono alla condanna del processo ”Nuova Cupola”, Sutera aveva il ruolo importante e decisivo di capo provincia. Ora in questa operazione non diciamo che lo è ancora, diciamo che queste persone che sono state arrestate facevano capo a lui, lo agevolavano in questi incontri interprovinciali. Si rapportavano con uno che all’epoca era riconosciuto come capo provincia. Se lui lo è attualmente non lo posso dire».

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