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Naufragi nell'Egeo, Milano: se i bimbi muoiono, l'Europa ha fallito

PALERMO. Mentre si discute di muri, frontiere, controlli e quote, continuano le stragi del mare. Il fenomeno migratorio non smette di mietere vittime e, ormai, non c’è quasi più un naufragio che non veda tra i morti anche i bambini. Venti quelli morti nelle coste della Grecia nelle ultime ore. «E se continuano a morire bambini di fronte alle coste del Vecchio continente, vuol dire che l’Europa ha fallito». È questa la forte accusa che lancia Save the Children all’Unione europea per voce di Raffaela Milano, direttore dei programmi Italia-Europa dell’associazione.

Dottoressa Milano, quali sono gli errori che fa l’Europa di fronte a queste stragi?
«Gli errori sono tutti gravissimi e il primo tra tutti è quello di non mettere come priorità il salvataggio delle vite umane. Stiamo parlando di un tratto di mare piccolissimo, ma molto rischioso. Il primo intervento dovrebbe essere quello di attivare un servizio di avvistamento e salvataggio. Invece, questo è un canale del tutto trascurato e i soccorsi non bastano. E anche quando si riesce a toccare la terra ferma, soprattutto i bambini rischiano la vita in inverno per il freddo, anche perché non c’è nessuna accoglienza per chi scappa da una guerra. Si dibatte solo di quote e confini, ma qui si parla di soccorrere individui in fuga. Non capisco cosa debba succedere ancora per fare in modo che l’Europa agisca».

Quali sono le politiche da adottare con urgenza?
«Bisogna coinvolgere tutti gli stati europei per fare in modo che il soccorso in mare venga garantito e attrezzarsi nel corso delle rotte per avere il minimo indispensabile: cibo, indumenti caldi e scarpe per non far morire i rifugiati di ipotermia. Un altro intervento da mettere in campo, poi, sarebbe creare un canale di sicuro accesso per non mettere questa gente disperata nelle mani di trafficanti e scafisti e c’è anche bisogno di un sistema unico europeo di asilo. Infine, in questo difficile quadro politico, servirebbe poi la cosa più importante, ovvero che si arrivi a un intervento internazionale deciso sui conflitti, perché significherebbe eliminare il problema alla radice. Penso in questo momento soprattutto alla Siria. È normale che se finiscono i conflitti e questi territori tornano a essere più sicuri, non nasce l’esigenza in queste persone di scappare dal proprio Paese».

In Europa si parla tanto di muri, frontiere e quote. Pensa siano altre le priorità?
«Assolutamente sì. Esistono un diritto internazionale e delle convenzioni firmate dai Paesi. Non vanno creati tetti e muri. Una volta verificata la motivazione dell’asilo su ciascuno dei migranti, deve scattare l’accoglienza. È un principio generale al quale non si può derogare. Ecco qual è la priorità. Non possono esistere quote di rifugiati come propone ad esempio l’Austria. Ci sono altre zone del mondo come Giordania e Libano che accolgono milioni di rifugiati, cifre ben superiori a quelle di cui si sente parlare in Europa».

Sentiamo sempre più parlare di bambini tra le vittime. Come mai questo fenomeno è in drammatica asce negli anni?
«Prima da questi Paesi era per lo più una persona a famiglia a partire. Magari l’uomo che andava alla ricerca di fortuna in Europa. Adesso i bambini sono sempre più presenti nel flusso migratorio, perché si spostano sempre più famiglie. E questo fa capire che non c’è più un’alternativa se non quella di scappare dalla guerra e dalle persecuzioni».

Può spiegare l’attività di Save the Children per aiutare chi scappa dalla guerra?
«Noi siamo presenti in tutti i luoghi di sbarco per accompagnare alle frontiere e nelle grandi città. Stiamo intervenendo in Italia, Grecia e Germania, raccogliendo anche tanta solidarietà da parte della gente che aiuta con gesti concreti, donando cibo e vestiti. Fortunatamente c’è anche un’altra Europa».

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