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Reato di clandestinità, Nicolini: legge da cambiare, ma l'Europa sbaglia tutto

Il sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini

LAMPEDUSA. «Il reato di clandestinità va cambiato, non c’è dubbio. È una delle cause principali di affollamento delle nostre carceri. Così com’è concepito non è un istituto che si sposa con la nostra civiltà giuridica: è un reato contestato per quello che si è, non per quello che si fa. È un principio elementare che contrasta con il nostro ordinamento, dove i reati devono corrispondere ad azioni. Non si può essere sottoposti a misure cautelari perché si è stranieri, donne o ebrei...»: diretta come sempre, Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa, entra a pieno titolo nel dibattito sulle modifiche alla legge.

Norma da cambiare: tema non nuovo, vero sindaco?
«L’idea che l’ingresso in un paese come l’Italia debba essere un reato è abnorme, specie se rapportata al nostro ordinamento giuridico e anche al momento storico in cui viviamo. Siamo di fronte ad un flusso migratorio eccezionale, motivato da fatti che sono sotto gli occhi di tutti: guerre, terrorismo. Parliamo di paesi dove c’è chi prende bimbi di tre anni e li riempie di tritolo per trasformarli nel veicolo di attentati che fanno molte vittime. E non solo...»

A cosa si riferisce?
«Ci sono anche i cambiamenti climatici, e l’emergenza ambiente i cui effetti impoveriscono sempre di più le risorse naturali dei paesi da cui questa gente fugge. Non si risolve tutto con la repressione, chiudendo le frontiere, sospendendo il trattato di Schengen, o con i nazionalismi esasperati».

Cosa vorrebbe che accadesse?
«Che l’Italia diventi il paese dell’avanguardia, come lo è stata per anni per i soccorsi in mare, e guidi un’azione concertata con gli altri paesi che si affacciano con il Mediterraneo. Prima con Lampedusa da sola, poi dal 2014 con Mare Nostrum, abbiamo finora svolto un ruolo importantissimo sull’accoglienza, e anche il nostro premier Matteo Renzi ha saputo rivendicarlo con orgoglio e ha pronunciato parole che prima erano tabù».

Ha un’idea?
«Penserei di utilizzare gli strumenti che ci sono, o che sono usati poco, per consentire l’accesso legale e sicuro in Europa direttamente dai campi profughi. Bisognerebbe utilizzare gli investimenti dell’emergenza e del business dell’accoglienza che fa acqua da tutti le parti, per andare invece ad aiutare i profughi nei paesi poveri o prima che partano dalla Turchia o dalla Libia. Andrebbe spinto di più sulle azioni preventive e non aspettare l’ondata che arriva alle nostre porte. E poi una considerazione. Se non si fosse aperta la rotta dei Balcani non si sarebbe arrivati al piano di ricollocamento dei profughi. Sono stati fatti passare troppi anni: bisognava aggredire prima le cause di questi fenomeni ancora non sono risolti. Certo, c’è la campagna di paura, di razzismo, di xenofobia. E gli attentati non ci hanno aiutato...».

Il capo della polizia, Pansa, dice: il vero problema è che il reato di immigrazione intasa il lavoro delle procure, ma serve dare un segnale di rigore...
«Io dico tutto l’opposto. Siccome il reato di clandestinità c’è sempre stato, e come abbiamo visto ha solo comportato affollamento nelle carceri e l’intasamento del lavoro delle procure, è chiaro che non ha fermato nessuno e non fermerà mai nessuno. Avere subìto la creazione degli hotspot (i centri in cui vengono identificati i profughi, ndr) è una cosa che si sta ritorcendo contro di noi e contro la Grecia. Si tratta di procedure complicate e alla fine il risultato è chiaro: 190 persone ricollocate dall’Italia e 82 dalla Grecia a fronte di un piano che ne prevede 160mila. Un ritardo clamoroso: dovremmo spedirne 24mila in due anni, e di questo passo mi sa che non ci riusciremo».

Qual è la situazione dei profughi, oggi, a Lampedusa?
«Di falsa calma. Sapete tutti che si tratta di migranti che scappano dalla guerra e dalla privazione di libertà. Se io dico a questa gente: ”Ti do l’asilo e ti chiedo le impronte ma non ti garantisco nulla...” il problema c’è, e lo stanno ponendo loro stessi quando rifiutano di dare le loro impronte. Stanno facendo un’azione politica perché non sono liberi e pongono un problema serio: le procedure di ricollocazione non sono rispettose delle persone. Ricollocarli a sorteggio non può funzionare. Alcuni sono stati spediti nei paesi dell’Est che hanno votato contro la ricollocazione, e hanno paura di essere trattati male. Però le procedure degli hotspot sono fallimentari. Sapete qual è l’obiettivo».

Ce lo sveli, sindaco...
«Ho la sensazione che l’Ue abbia elaborato queste procedure per ritardare al massimo il ricollocamento e lasciare questa gente in Italia».

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