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Romeo: «In Sicilia i migranti trovano tetto e cibo, da noi le parrocchie danno già sostegno»

«Le parrocchie siciliane sono già operative. Sono stati aiutati migliaia di migranti con Molti cure, cibo e indumenti. sono ospitati nelle parrocchie e nelle strutture idonee. Ma bisogna lavorare in sintonia con le autorità pubbliche per legalizzare la loro presenza». Lo afferma l'arcivescovo di Palermo, cardinale Paolo Romeo, commentando l' appello del Papa che ha chiesto che «ogni parrocchia accolga una famiglia di profughi» e ha annunciato che «le prime a farlo saranno le due parrocchie del Vaticano».

Qual è il significato di un appello così forte verso i fedeli?
«Credo che il Santo Padre sin dall' inizio del suo Pontificato abbia iniziato a coltivare questo gesto. A cominciare dalla visita a Lampedusa, quando ha elevato la sua voce parlando della globalizzazione dell' indifferenza e sostenendo che noi cristiani non possiamo vivere in questa dimensione, estraniandoci ai bisogni degli altri. Da quel giorno è stato un crescendo, il Papa ha parlato di genocidi, di una vera e propria guerra. Ci sono migliaia di morti, non è più il caso di un singolo incidente. E si tratta di una situazione che è destinata a crescere. Se pensiamo che nei campi di profughi ci sono 3 milioni di siriani, quelli che arrivano sono solo una piccola percentuale. Quindi il Santo padre ci ha fatto prendere coscienza del problema. L' episcopato credo si sia mosso in cammino prima di questo invito esplicito».

In Sicilia in che modo la Chiesa sta affrontando l' emergenza migranti?
«Noi siamo già operativi da tempo. Abbiamo fatto tutto quello che abbiamo potuto. A Palermo non esiste una tendopoli, la gente che è sbarcata la notte ha trovato un tetto, cure, indumenti, cibo. Questo è stato possibile grazie al lavoro della Caritas e al contributo elevatissimo da parte delle parrocchie. Un contributo spesso personale in termini di risorse. Siamo riusciti a fornire vestiti e scarpe e a organizzare la macchina dell' accoglienza nel giro di 24 ore proprio grazie a centinaia di giovani disposti anche a cambiare i loro programmi estivi del fine settimana per aiutare i loro fratelli».

In che modo le parrocchie ospitano i migranti?
«Intanto dipende dal tipo di sbarco perchè ognuno ha le sue caratteristiche. Ad esempio tra gli ultimi arrivati c' erano un' ottantina di ragazze tra venti e trent' anni, tutte senza famiglia. Oppure in un altro caso c' erano 53 minori. Spesso quindi non si tratta di famiglie intere e per ospitarli ci sono varie procedure da seguire. Nella missione Speranza e carità di via Garibaldi a Palermo, ad esempio, incontro spesso un gruppo di mamme che hanno partorito e che sono sbarcate con i piccoli e non possono essere allontanate. Nel complesso quindi non è semplice sistemare i migranti. Non tutte le nostre parrocchie, poi, hanno le strutture necessarie. L' arcidiocesi di Palermo ha 15 parrocchie senza il tempio parrocchiale, cioè senza la chiesa, altre vivono in uno scantinato, o non hanno la casa del parroco, o non hanno strutture per l' oratorio e la catechiesi. In ogni caso attualmente i nuclei familiari che vengono non sono così numerosi, anzi in genere si tratta di singole persone, e farsi carico della loro integrazione non è semplice. Queste famiglie, che devono essere sistemate sempre in sintonia con le autorità pubbliche, devono legalizzare la loro presenza».

Quali sono i principali problemi nell' accoglienza dei profughi?
«Spesso quando arrivano vivono la tragedia di un familiare morto e vogliono restare qui almeno il tempo della sistemazione della salma. E noi li abbiamo accolti e aiutati a restare. Ma la maggior parte di loro non intende rimanere in Sicilia, anzi, vogliono andare via senza essere nemmeno identificati perchè, stando all' accordo di Berlino, se li identificano poi devono restare qui. Il loro sogno invece è di an darein Svezia, in Germania, in altri Paesi che stanno meglio o dove hanno parenti o amici che già lavorano».

Quale sostegno stanno ricevendo i profughi dalle parrocchie siciliane?
«Dal cibo alle cure, dagli abiti agli alimenti. A giugno è arrivata una nave con 1.200 persone senza scarpe e siamo riusciti a dare 1.200 paia di scarpe grazie alla generosità dei fedeli e al lavoro delle parrocchie. Abbiamo consegnato centinaia di provviste, accompagnato e sostenuto chi aveva bisogno di cure. Anche se siamo allo stremo al prefetto ho detto che la chiesa non si tirerà mai indietro. Palermo può essere orgogliosa, non soltanto per quello che ha fatto la chiesa ma anche per la solidarietà e la condivisone con le istituzioni civili».

Quante persone sono impegnate nell'accoglienza?
«Se parliamo della parte tecnica, cioè dei volontari specializzati che svolgono dei compiti precisi, sono una cinquantina quelli impegnati nella Caritas. Ma poi le parrocchie danno il loro aiuto con centinaia di persone. Quando a giugno è avvenuto uno degli sbarchi più numerosi, lo abbiamo saputo solo due giorni prima, abbiamo fatto appello alle parrocchie e alle associazioni e abbiamo avuto centinaia di adesioni di giovani che hanno trascorso dieci ore sotto il sole senza alcun compenso, senza rimborsi, pagando di tasca propria ogni cosa».

Di che aiuto avete bisogno adesso? Come fare a collaborare?
«Come diceva padre Puglisi, se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto. C' è bisogno di una vera e propria concorrenza di contributi e presenze, ognuno dia quello che può, tempo e professionalità. Basta mettersi in contatto con le parrocchie e la Caritas. Si può mettere a disposizione anche una sola ora del proprio tempo, oppure un pomeriggio. Si può collaborare offrendo le proprie conoscenze, mediche odi altro tipo. C' è bisogno di tutto, generi alimentari, vestiti. Ricordiamoci che chi arriva ha vissuto momenti terribili e spesso scende dal barcone solo con un paio di pantaloncini addosso. Abbiamo il dovere dell' accoglienza, di aiutarli a rasserenarsi con Dio e i fratelli».

 

 

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