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Sellari: «Sempre più muri pronti a rialzarsi e occhio ai Balcani, lì crisi mai risolta»

La parola esodo? Sempre più appropriata al fenomeno migratorio sud -nord che caratterizza i paesi del bacino mediterraneo, soprattutto se si considera l' arco temporale. Non dimentichiamoci, infatti, che tali spostamenti di massa si manifestano da molti anni e, con ogni probabilità, si protrarranno per un futuro molto lungo, oltretutto con direttrici diversificate». Paolo Sellari, docente di Geografia politica ed economica e direttore del Master in Geopolitica e Sicurezza Globale della «Sapienza» di Roma, non ha dubbi: siamo dinanzi a una migrazione epocale. Un esodo, appunto.

Si ripetono gli sbarchi nelle nostre coste. Possibile andare oltre la gestione dell' emergenza?
«In Italia, la cultura dell' emergenza è cronica. Tuttavia, credo che in questo caso il nostro Paese abbia adottato sempre una linea coerente con le politiche e con lo spirito della maggioranza della società civile, cioè l'accoglienza. Credo, però, che dovrebbe esserci una visione d' insieme degli spazi e delle strutture idonee all' accoglienza, penso ad esempio alle ex caserme dismesse che potrebbero fungere da centri di accoglienza di secondo livello. Certamente, il problema è complesso e in Italia, che ha avuto negli ultimi vent' anni posizioni politiche nei confronti del fenomeno immigrazione di molto divergenti, il compromesso inevitabilmente ha prodotto l' inazione».

Per molte organizzazioni criminali nel mondo, la tratta di profughi è il business del nuovo millennio. Difficile, se non impossibile, combattere i trafficanti?
«La tratta dei profughi è un business multilivello che alimenta sia i trafficanti locali sia i flussi illeciti internazionali ad ampia scala. Combattere la tratta è come combattere il traffico di armi o di droga: gli interessi che ci sono dietro sono spesso frutto di collusione con gli stessi governi. Per cui, combattere i trafficanti è allo stato attuale un' utopia senza una presa di coscienza da parte delle più alte istituzioni internazionali della vera realtà dei fatti».

Adesso che il fenomeno ha «sconfinato», molti Paesi europei riscoprono l' Unione. Troppo tardi?
«Sul piano politico, l' Ue non ha certamente svolto il ruolo che si poteva sperare. Pur nella coscienza che un macro aggregato europeo è necessario in un mondo pienamente globalizzato è evidente come politicamente l' Europa non sia affatto unita: lo hanno dimostrato gli interventi militari francesi in Libia e in Mali, lo hanno dimostrato gli approcci durati per anni al problema immigrazione. Un approccio singolo che ha portato più volte e più Stati a mettere in discussione gli accordi di Schengen, cioè una delle faticose vittorie dell' idea europea. D' altra parte prendersela con l' istituzione di Bruxelles è fuorviante, poiché le vere responsabilità sono dei paesi membri e dei poteri multinazionali».

Nel mondo, almeno 45 muri anti -immigrazione. Una soluzione, una necessità?
«Nel 1989 avevamo pensato che il "muro", sia materialmente sia come concetto, fosse finalmente stato abbattuto. In realtà le vicende geopolitiche successive hanno mostrato come molte realtà territoriali reagiscano alla globalizzazione, economica, sociale, culturale, con la chiusura "politica". Le migrazioni di massa, pur se fenomeno antico e sempre presente nella storia dell' umanità anche se con diverse intensità e parametrate al contesto storico in cui avvenivano, sono un effetto della globalizzazione che non ha evidentemente funzionato ma che ha approfondito i divari tra nord e sud del mondo: un "nord" certo che oggi comprende altri attori, soprattutto asiatici ma che comunque non ha favorito la creazione di quel villaggio globale che alcuni analisti avevano previsto all' inizio degli anni Novanta».

Quindi?
«La recente questione del muro tra Ungheria e Serbia è certamente emblematica. E altri probabilmente ne sorgeranno, poiché la prima reazione ai fenomeni globali è la chiusura. I Balcani mi sembra che possano essere da questo punto di vista un settore molto delicato, poiché al problema immigrazione si intreccia un problema geo-politico che è sopito ma non risolto. È da augurarsi che in ambito Ue e soprattutto Onu ci sia un dibattito serio e approfondito teso asco raggiare tale tendenza».

I sondaggi rivelano come sempre più italiani ritengano i flussi migratori una minaccia alla sicurezza nazionale. Siamo davvero più esposti al rischio -terrorismo?
«Anche se, secondo le intelligence, tra i migranti pare siano infiltrati militanti jihadisti, non credo che il problema vada ricondotto solo a questo aspetto. Il fenomeno resta un problema prevalentemente di natura sociale. Il terrorismo è in grado di muoversi anche indipendentemente dai barconi, soprattutto attraverso la finanza internazionale».

Libia in guerra civile, mentre l' Alto Commissariato Onu stima che i tunisini reclutati in milizie jihadiste siano più di cinquemila. Se i vicini sparano, noi possiamo dirci al riparo?
«Come ho appena detto, non credo che sia un problema di vicinanza geografica. Certo è che le primavere arabe hanno lasciato scie drammatiche: soprattutto hanno almeno per adesso, spento l' ipotesi e la speranza di una repentina democratizzazione di quei paesi. Credo però che a livello generale non possiamo definirci un paese al sicuro, sia per il numero dei migranti che spesso è difficile da identificare, sia perché una radicalizzazione del potere in Libia potrebbe esporci a strategie tese a colpire un paese che ha al suo interno il Vaticano».

Nuovo round di negoziati sotto egida Onu per la formazione di un governo libico di pacificazione nazionale. Anche se dovesse avere successo, inevitabile l' intervento militare occidentale per combatterei «tagliagole» e stabilizzare il Paese?
«L' incarico a Bernardino Leon va senza dubbio sostenuto. Ma ho paura che la questione libica sia per molti versi simile a quella irachena e testimoni la difficoltàestrema di avviare processi di "democratizzazione", intesa in termini di stabilità politica e rispetto dei diritti fondamentali».

 

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