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Chiusi nella stiva di un barcone, migranti sfondano la botola per respirare

Erano su barcone con 350 migranti, fermati due presunti scafisti

POZZALLO. «Ci hanno chiusi nella stiva e quando abbiamo capito che potevamo morire soffocati abbiamo sfondato la botola per potere prendere aria e respirare...».

Così alcuni dei 350 migranti sbarcati a Pozzallo hanno ricostruito alla polizia di Stato di Ragusa i momenti di tensione su un barcone che è stato soccorso nel Canale di Sicilia. «Hanno rischiato di morire soffocati come i 49 migranti arrivati a Catania per la 'strage di ferragost0'», commenta un investigatore impegnato nell'inchiesta.

I migranti oltre a descrivere ed indicare, riconoscendo in foto i due scafisti, hanno riferito di «essere stati chiusi in stiva in oltre 200, mentre gli altri erano sopra coperta». Quando la mancanza d'aria stava iniziando a far svenire qualcuno e gli altri ancora in forze hanno compreso che potevano morire, hanno sfondato la botola che era stata chiusa proprio per non farli uscire.

«Soltanto in quel momento - hanno aggiunto i testimoni che erano chiusi nella stiva - abbiamo ripreso a respirare e nessuno è stato più male come prima».

Intanto la squadra mobile della Questura, su provvedimento della Procura di Ragusa, in collaborazione con carabinieri e guardia di finanza, ha fermato i due presunti scafisti dell'imbarcazione: un tunisino di 35 anni, Moktar Sadok, e un marocchino di 18, Mohamed Yousef.

Sono responsabili di «aver condotto una fatiscente imbarcazione in legno con a bordo 350 migranti, tutti in pericolo di vita», soccorsi da nave Diciotti, che ha fatto incassare ai trafficanti libici circa 700mila dollari.

Il tunisino, che svolgeva il ruolo di timoniere, ha ammesso le sue responsabilità agli investigatori della squadra mobile della Questura di Ragusa: ha confessato che gli accordi con i libici erano quelli di ricevere 2.500 dollari al suo rientro, dopo che le autorità italiane lo avrebbero respinto.

Parte dei migranti proveniente da regioni del nord Africa verranno respinti alla frontiera per ordine del Questore di Ragusa, così come previsto dalle norme contenute nel testo unico
per l'immigrazione.

Una trentina di casi di scabbia sono stati segnalati dai medici della Croce Rossa e di Medici senza Frontiere in servizio ieri a Pozzallo durante lo sbarco dalla nave 'Diciotti' della Guardia Costiera di 466 migranti. Una trentina di migranti sono stati segnalati ai medici dell'Asp per il trattamento sanitario, mentre quattro donne in gravidanza sono state ricoverate in Ospedale e altre due per malesseri generali.

L'operazione di salvataggio della nave 'Diciotti' è il frutto di due interventi in mare: nel corso della prima operazione sono stati tratti in salvo 352 migranti da un barcone in legno in difficoltà; l'altro intervento è stato compiuto a poche miglia da Lampedusa col recupero di 114 migranti, a bordo di un gommone fatiscente. La Polizia avrebbe già individuato gli scafisti al comando delle due imbarcazioni.

Ieri il tragico arrivo di un ragazzo migrante di 14 anni morto stroncato da un infarto, ma in realtà il suo cuore ha ceduto per le percosse e le sevizie alle quali era stato sottoposto da aguzzini senza scrupoli, che lo avevano costretto a lavori massacranti prima di farlo partire la Libia.

Era solo un ragazzino di poco più di 14 anni, che alcuni mesi fa aveva lasciato da solo la Somalia, morto quando ormai era a un passo dal coronare il sogno di raggiungere l'Europa.   L'ultima giovane vittima di questa interminabile catena di sangue era a bordo della nave Dignity di Medici senza frontiere, che due giorni fa ha soccorso nel canale di Sicilia la «carretta» su cui era imbarcato insieme ad altri 300 profughi.

Quando è stato tratto in salvo le sue condizioni erano già critiche per via dei maltrattamenti subiti in Libia, dove i trafficanti lo avevano sfruttato per giorni, senza dargli cibo nè acqua, prima di consentirgli di salire su un barcone. Un diritto conquistato al prezzo della vita. Nonostante gli sforzi dell' equipe medica di Msf, il suo cuore non ha retto, durante la rotta per  raggiungere il porto di Augusta (Sr) dove la salma è stata sbarcata.

«Sul corpo aveva i segni evidenti delle violenze ricevute in Libia, oltre a infezioni e problemi respiratori», spiega Francesca Mangia, la coordinatrice di Msf sulla Dignity, una delle tre navi impegnate in operazioni di soccorso in mare dei migranti che hanno a bordo le equipe mediche di Medici senza frontiere.

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