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L’intervista a padre Francesco Stabile: «I boss sfruttano i riti funebri per esaltare la loro potenza»

«La questura prevedendo la possibilità che la cerimonia si trasformasse in esibizione doveva avvertire il parroco o intervenire in modo che il funerale fosse celebrato al cimitero in maniera riservata». Padre Francesco Michele Stabile, sacerdote, storico della Chiesa ed esperto dei rapporti tra Chiesa e mafia, ritiene che si poteva evitare il rito in cui si è trasformato il funerale di Vittorio Casamonica, a Roma. «Bisognava prevenire lo show del corteo funebre. Nel codice mafioso, è una glorificazione del defunto. Ma non dipende solo dal parroco, doveva esserci una presa di posizione anche della questura».

Tanti cartelli che celebrano il boss morto, carrozza ed elicottero sopra la chiesa. Che impressione le hanno fatto i funerali di Roma?

«Sappiamo tutti che i mafiosi approfittano del funerale per fare un'esaltazione della persona del boss defunto. Fuori dalla Sicilia non tutti i preti hanno la percezione della gravità di questo fenomeno e di questa ostentazione di potenza da parte dei mafiosi. Con queste manifestazioni di grandezza viene celebrato il potere dei boss, perché il clan ha bisogno di ostentarlo. Non è tanto diversa la vicenda delle processioni che si fermano davanti alle abitazioni dei mafiosi, anche se è un rito che si verifica più in Sicilia. Bisogna constatare però che negli ultimi tempi questi casi si sono ridotti».

 

Perché, secondo lei, bisognava evitare lo show del funerale del boss Casamonica?

«Non solo era possibile evitarlo, ma si doveva evitare. Dopo la consapevolezza che abbiamo su cosa è la mafia e sul fatto che sia altro rispetto alla Chiesa, il parroco avrebbe dovuto essere più attento e vigilante. Avrebbe dovuto capire chi era questo personaggio. Ma non doveva essere lasciato solo. La questura avrebbe dovuto avvisare il parroco e avvertirlo dicendogli chi era questo personaggio se non ne fosse stato consapevole. Non è una novità che i boss sfruttano i funerali come un'occasione di esaltazione e di esibizione di potenza».

Quindi, quale alternativa sarebbe stata auspicabile?

«Il funerale si sarebbe dovuto celebrare, ma in maniera diversa. Sarebbe dovuto essere un funerale privato. Non è proibito pregare per un mafioso. Si prega per tutti, anche per quelli che sono ritenuti lontani. Ma è lo show da evitare. Ecco perché l'ideale sarebbe stato celebrarlo in un luogo, come la cappella del cimitero, e in forma privata».

Il parroco ha dichiarato che «l'esponente del clan sia dentro la Chiesa» e che celebrerebbe di nuovo quel funerale. Che cosa ne pensa?

«Non si può dire che un personaggio che fa parte di una cosca mafiosa sia nella chiesa. Abbiamo già chiarito che chi appartiene a un gruppo mafioso è automaticamente fuori dalla Chiesa. C'è un'incompatibilità. Chi appartiene a una cosca mafiosa anche se esibisce croci o santini non può essere considerato cattolico. Appartenere alla mafia è come appartenere a un'altra religione che non è quella di Gesù Cristo, perché il mafioso segue regole che non hanno niente a che fare col Vangelo. Penso che il parroco dovrebbe chiarire meglio a se stesso ciò che ha fatto, ma anche la Curia di Roma dovrebbe dare delle indicazioni più precise».

La Chiesa in che modo vieta i funerali per i boss?

«Al momento ci sono solo le dichiarazioni di incompatibilità tra l'appartenenza mafiosa e l'essere battezzati. Ci sono anche dichiarazioni che vietano i funerali per i boss. Ma sul piano giuridico non c'è un atto. Di solito i funerali vengono proibiti a chi è stato condannato per reati di mafia, se non ci sono stati segni di pentimento da parte della persona. Alcuni vescovi, come quello di Acireale, hanno già dato indicazioni precise su come comportarsi in queste circostanze. Ma ancora non c'è una norma generale. Serve un'indicazione pontificia».

Ma Papa Francesco ha preso una posizione chiara...

«Il Papa ha ribadito più volte ed esplicitamente la scomunica nei confronti dei boss mafiosi. Credo che presto questa indicazione verbale possa tradursi anche in indicazione pastorale. I preti se non hanno una norma scritta non sempre si orientano. Allora, è importante che possano basarsi sul fatto che ci sia un provvedimento del vescovo che proibisce i funerali per i boss».

C'è un criterio per decidere nei confronti di chi non si può celebrare il funerale in maniera pubblica?

«Bisogna che sia delineata l'appartenenza alla mafia. Ci vuole una condanna o la certezza dell'appartenenza a un gruppo mafioso. Già questo è un delitto di per sé. Serve, però, il supporto della questura o della magistratura che indichi il criterio per cui il parroco o il vescovo possano dare delle indicazioni in modo che il funerale si possa fare ma non in maniera pubblica».

In Sicilia i vescovi hanno preso posizioni forti vietando i funerali dei boss. Quali episodi si sono verificati?

«In Sicilia il vescovo di Acireale e l'allora vescovo di Piazza Armerina hanno già preso posizione. Monsignor Raspanti con un decreto, monsignor Pennisi nel 2007 invece vietò i funerali all'interno della chiesa madre al capocosca gelese Daniele Emmanuello, consentendo le esequie nella cappella del cimitero. In quell'occasione vigilò la polizia. Nell''82 inoltre abbiamo presentato un documento delle comunità della zona di Bagheria in cui chiedevamo ai politici di non partecipare ai funerali dei mafiosi. E lo dicevamo con cognizione di causa».

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