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Ambrosini: «Sui profughi gli Stati europei giocano solo allo scaricabarile»

«Da anni arrivano donne, uomini, bambini sulle coste italiane ed europee. Noi, però, non ci siamo dotati di strutture e capacità di gestione adeguate ad affrontare il fenomeno. E allora si parla di emergenza, si dice che siamo allo stremo!». Per Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia delle Migrazioni all'Università Statale di Milano, non basta essere «attivi nel salvataggio in mare, come siamo stati con l'operazione Mare Nostrum e in modi più ambigui adesso con Triton». Autore di numerosi saggi, tra cui il recente «Non passa lo straniero?» edito da "Cittadella", Maurizio Ambrosini aggiunge: «Quando queste persone sono arrivate a Roma o Milano, non si sapeva dove accoglierle. Ciò avviene, però, soprattutto perché siamo impreparati. Questo è il vero problema».

Oggi e domani, il Consiglio d'Europa affronterà "l'emergenza". Ma non sarebbe anche ora di ridiscutere le regole su frontiere e libertà di circolazione, cioè i controversi trattati di Schengen e Dublino?

«Il controllo dei confini verso la mobilità umana è diventato, ormai, uno dei residui simboli della sovranità nazionale. In tempi di globalizzazione economica, i governi cercano di far vedere ai propri elettori che tutelano confini e welfare contro l'arrivo di presunte torme di invasori, di pretendenti aiuto. Con i richiedenti asilo, però, la situazione diventa ancora più imbarazzante perchè queste persone hanno titolo a chiedere accoglienza in base all'articolo 10 della nostra Costituzione e delle convenzioni internazionali che il nostro Paese e altri hanno firmato».

Quindi?

«In questo dilemma, diritti umani contro sovranità nazionale, le politiche di immigrazione e asilo sono materie che i governi si tengono gelosamente per sé. Così, si assiste allo scaricabarile. I rifugiati dovrebbero rimanere nel primo Paese sicuro che incontrano, ma questo è spesso un Paese del Sud Europa che cerca di farli transitare perchè vadano altrove. E gli stessi rifugiati non chiedono di meglio. Quando si parla di un fenomeno ingestibile, allora, bisognerebbe ricordare i numeri: a Milano sono arrivate 60 mila persone in due anni, ma quelli che hanno chiesto asilo sono appena 300. Gli altri, evidentemente, se ne sono andati. Servirebbe, quindi, una politica europea dell'accoglienza e dell'asilo ma non riusciamo a fare un passo avanti in questa direzione».

«Non passa lo straniero?», il titolo del suo ultimo libro. Interrogativo ancora più attuale adesso che Francia, Svizzera e Austria hanno chiuso le frontiere?

«Noi facciamo un gran teatro sull’emergenza, loro pure! Anche Francia, Svizzera e Austria hanno elettori in maggioranza ostili all'immigrazione e di questi tempi sono sempre più numerosi. Quei governi, sbagliando, tentano di mostrare ai loro elettori che chiudono le frontiere e il messaggio passa, fino a provocare una crisi diplomatica, ma in realtà hanno forse chiuso solo Ventimiglia e il Brennero. Domandiamoci, invece, che ne è del Monte Bianco, del Passo del Fréjus o del Piccolo San Bernardo dove non mi risulta che vi siano blocchi attivi. Rifletto, allora, su un dato: lo scorso anno sono sbarcate in Italia 170 mila persone ma solo 70 mila hanno chiesto asilo, gli altri sono evidentemente riusciti a passare. La chiusura di Ventimiglia, insomma, è una gran sceneggiata».

In un recente dossier curato dall'istituto di studi Ispi, lei ha ricordato come sia sbagliato fare di tutta l'erba un fascio non distinguendo tra sbarchi, prima accoglienza e integrazione sul territorio. Dove sta la differenza?

«Gli sbarcati, intanto, sono in numero di gran lunga superiore rispetto a quanti chiedono formalmente asilo. Sono aumentati i primi, sono cresciuti anche i secondi ma non altrettanto. Bisogna ricordarsi di ciò, quando si parla di emergenza. In termini di risposte, invece, è necessario distinguere le strutture minimali di prima accoglienza dai progetti di accoglienza e integrazione nel territorio. Che non sono abbastanza efficaci, nonostante i progressi del sistema di protezione e accoglienza ei rifugiati, gli Sprar, anche perché manca una sufficiente distribuzione dei migranti sul territorio. Esistono, infatti, zone in cui esiste disponibilità all'accoglienza poiché questa genera un po' di economia locale, e altre in cui c'è chi cerca, per ragioni politiche, di sottrarsi all'obbligo costituzionale di solidarietà».

Dall'Inghilterra alla Danimarca, un coro di no al piano della commissione Juncker che ipotizza la redistribuzione di 24 mila profughi sugli oltre 220 mila arrivati negli ultimi diciotto mesi in Italia. Alla fine, la montagna partorirà un topolino?

«Ma quelli rimasti in Italia sono molto meno che 220 mila. Siamo di fronte a un caso evidente di miopia politica. I governanti sanno bene che molti di quei profughi hanno attraversato le frontiere, ma fanno finta di niente e alzano la voce sulle quote. Il sistema delle quote, però, è sbagliato innanzitutto perché tratta i richiedenti asilo come pacchi postali, persone sprovviste di libero arbitrio e dignità, cui viene negato il diritto di scegliere dove andare a costruirsi un futuro migliore anche sulla base della lingua che conoscono o degli amici che hanno. Evidentemente, dopo essere stati spediti da una parte, molti cercheranno di scappare per raggiungerne un'altra. Esiste, poi, anche un altro problema più pratico e politico».

Quale?

«Questa proposta delle quote ha il veleno nella coda. L'Agenda europea insiste sul fatto che verranno mandati funzionari da Bruxelles, poiché Paesi come l'Italia hanno difficoltà nell'identificazione. In questo modo, però, i 24 mila forse li trasferiranno altrove, ma gli altri 200 mila rischiamo di doverceli etneer, anche contro la loro volontà».

Per numero di vittime, la rotta mediterranea viene considerata la più pericolosa del mondo. Eppure, traversate e sbarchi aumentano. Solo disperazione, o un raggiustamento inevitabile degli equilibri demografici nel pianeta?

«Io bandisco la parola disperazione. Chi arriva, anche se fugge da guerre e persecuzioni, ha una speranza. Ricordo, comunque, che l'86 per cento dei rifugiati è rimasto in Paesi del Terzo Mondo. È un dato contenuto nel rapporto 2014 dell'Unhcr (l’Agenzia Onu per i rifugiati, ndr) che rivela come da noi arrivi una piccola frangia di un fenomeno mondiale, e non si tratta neppure dei più poveri. Per partire e giungere da noi, d'altronde, servono risorse. L'idea di un travaso di persone dalle zone povere e sovrappopolate a quelle ricche è, quindi, solo una semplificazione».

Dagli Stati Uniti è stato rilanciato l'allarme per infiltrazioni di terroristi tra i migranti sugli scafi. Bisogna crederci?

«Alti funzionari delle forze di polizia hanno detto che è abbastanza improbabile una cosa del genere. Non si può escludere, ma i canali di ingresso sono tanti. "Expo" è un canale, come lo sono il turismo, le fiere, i soggiorni per motivi di studio. Se un inviato dello Stato Islamico volesse entrare, può farlo così. Perché mai dovrebbe rischiare la vita su un barcone?».

 

 

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