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La strategia contro i boss. Bubbico: «Più leggi efficaci e meno proclami»

Le mafie: mutanti come tutti i mali subdoli. Le antimafie: tante, troppe. Ma basta con la «creazione di eroi di battaglie mai combattute in prima persona, e avanti con leggi efficaci anziché annunci e proclami».

Per Filippo Bubbico, viceministro dell’Interno, sarebbe quella di «una mutazione genetica in corso, l’immagine che si presenterebbe a chi di mafia non avesse mai sentito parlare». Camaleontismo in stato di necessità: la mafia è indebolita, inasprita dai colpi inferti dallo Stato e però sempre «pronta a colpire chi la intralcia, come è stato evidenziato nella recente vicenda delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia su un progetto di attentato al pm nisseno Gabriele Paci». Oggi i mafiosi preferiscono blandire piuttosto che imporsi immediatamente sulla pubblica amministrazione e nel tessuto produttivo, facendosi tutt’uno con la corruzione. Mischiando le fattispecie criminose, «penetrando nei salotti buoni degli affari e della società non solo civile, ma economica». E a male mutante, aggiunge Bubbico, «rispondiamo con il bisturi della repressione ma pure con vaccini legislativi sempre più incisivi che colpiscano la criminalità nei suoi affari».

Bubbico sarà fra i relatori al convegno, in programma oggi (e domani a porte chiuse per il workshop con il ministro della Giustizia Andrea Orlando - aula Falcone del Collegio San Rocco) a Palermo, «Codice antimafia. Per una riforma utile, tra efficienza e garanzie», promosso dal Dems dell’Università con l’Agenzia nazionale dei beni confiscati, l’Università Cattolica di Milano, il Centro studi Stella e la Fondazione Progetto Legalità. Sul sito di quest’ultima (www.progettolegalita.it) lo streaming in diretta, dalle 15 di oggi, del dibattito e della consegna degli attestati ai neo amministratori giudiziari di beni sequestrati e confiscati, diplomati nella quarta edizione del relativo corso.

Viceministro, fra strumenti vigenti e nuove norme, che nemico abbiamo di fronte? Siamo in grado di tracciare bilanci e fisionomie delle organizzazioni?

«Sull’efficacia degli strumenti di prevenzione patrimoniale, sequestri e confische, può essere fatto un bilancio assolutamente positivo. Stiamo agendo nel segno della grande intuizione di Pio La Torre, con la legge che ne porta il nome: colpire le mafie nei suoi interessi economici e sbaragliare definitivamente il campo da qualsiasi ritratto che le riduceva a fenomeni di interesse sociologico o persino folkloristico. Quella legge segnò la svolta nella capacità di contrasto, ed è ovvio che gli strumenti legislativi sono aumentati e migliorati dal punto di vista dell’efficacia. Uguale, però, la filosofia: agire per sottrarre patrimoni illeciti. Un altro punto di rottura degli indugi è quello delle stragi dei primi anni ’90. Lì l’opinione pubblica, non soltanto italiana, iniziò ad acquistare una sensibilità diversa. Oggi le mafie sono problema nazionale e tendono a penetrare nei salotti buoni del potere economico ricorrendo massicciamente alla corruzione».

Qualche giorno fa le rivelazioni su un progetto di attentato a un pm della Dda di Caltanissetta. Intravede una nuova strategia violenta?

«Il fatto è da prendere seriamente in considerazione come minaccia reale. Per me si tratta di una manifestazione, al tempo stesso, di una forza e di una debolezza. La forza di portare minacce alle persone che la mafia teme di più, per il loro ruolo nelle decisioni su sequestri e interdittive; la debolezza di manifestare, con la violenza delle parole e delle armi, uno stato di crisi e scarsa coesione interna».

Palermo oggi e domani sarà luogo di proposta sulle modifiche al Codice antimafia che cambieranno il volto della prevenzione patrimoniale. Il governo farà propria l’estensione del controllo giudiziario anche per le aziende condizionate dai clan che siano state già «stoppate» da interdittiva prefettizia, potendo così continuare l’attività imprenditoriale?

«Sì. Il testo, in capo a un mese al massimo, passerà dalla commissione Giustizia all’aula della Camera. Restano da smussare alcuni dettagli, ma non c’è ragione per negare assistenza e continuità all’impresa i cui titolari, amministratori delegati o consigli di amministrazione chiedano sostegno all’autorità giudiziaria. Verrebbe nominato un commissario giudiziale, senza arrivare allo spossessamento nella gestione. Resta ferma la necessità di liquidare le aziende in perdita che rimangono in vita con lo scopo esclusivo di riciclare denaro sporco, ma non si può penalizzare oltremodo chi chiede allo Stato una certificazione assistita di legalità per operare nel mercato con competitività. Altrimenti si rischia di buttare via il bambino insieme con l’acqua sporca. Il controllo giudiziario è strumento molto più consapevole ed efficace della mera interdittiva. Si tratta di strumenti magari silenti, ma efficaci: altra cosa rispetto all’antimafia dei proclami».

A cosa si riferisce?

«Gli ultimi contrasti fra le varie anime dell’antimafia ci dicono che esiste una retorica dell’antimafia e un’antimafia dei contenuti, delle regole e della libertà dei cittadini, che è quella che sposo. Con la declamazione e la retorica si innescano dinamiche autoreferenziali che arrivano a creare eroi di guerre mai combattute. Diciamo che è ora di dire basta».

Tornando a sequestri, confische e amministrazione giudiziaria di aziende e immobili, quale sarà il nuovo volto dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati?

«Il governo guarda con favore anche alla norma che sgraverebbe l’Agenzia dalla gestione diretta in ogni fase del procedimento, lasciandole competenze nella allocazione e destinazione di immobili e aziende. L’eventuale continuità d’impresa sarà portata avanti da figure professionali con la supervisione dei magistrati, i quali sono chiamati a compiere la valutazione dello stato di salute della singola impresa, con un giudizio graduale che stabilisca il livello di recuperabilità sul mercato: dal semplice condizionamento, all’infiltrazione, al controllo, al dominio. Nei casi più seri scatta naturalmente l’interdittiva».

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