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Strage di migranti, localizzato il relitto: trovati anche alcuni corpi

ROMA. Una bara blu lunga 21 metri, piena di morti. Il mini sommergibile della Marina militare l'ha localizzata nelle profondità del Canale di Sicilia. «Non ci sono più dubbi. È il barcone che cercavamo», dice uno di quelli che l'ha cercato. Il barcone del naufragio del 18 aprile: 750 migranti inghiottiti dal mare. È stata la procura di Catania, che indaga sul peggiore naufragio avvenuto nel Mediterraneo dal dopoguerra, a incaricare la Marina militare di localizzare il peschereccio affondato. La Forza armata ha mobilitato tre navi: la corvetta Sfinge e i cacciamine Gaeta e Vieste, che hanno lavorato nel massimo riserbo per alcuni giorni. Oggi, a circa 85 miglia a nord est delle coste libiche, il ritrovamento.  Il relitto - lungo 21 metri, largo e lungo otto metri - è adagiato di chiglia a 375 metri di profondità e, spiega la Marina, è «correlabile con il relitto del barcone inabissatosi il 18 aprile».

Le sofisticate strumentazioni sonar di cui sono dotate le navi hanno prima segnalato l'«oggetto»; quindi è stato immerso il robot teleguidato «Pluto Gigas» che ha raggiunto il relitto, l'ha filmato e fotografato.  Le immagini sonar ad alta risoluzione e quelle video e fotografiche sono state esaminate in tempo reale dal personale a bordo dei cacciamine e, ad Augusta, presso il Comando Forze di pattugliamento della Marina, dagli inquirenti: oltre ai magistrati, personale della Mobile di Catania e i difensori dei due presunti scafisti indagati. Le immagini che dal fondo del mare sono rimbalzate sugli schermi del comando della Marina sono agghiaccianti: nei pressi del relitto si vede il corpo di un uomo e, all'interno dello scafo e anche nel ponte più basso, numerosi corpi. «Al fine di tutelare la dignità delle vittime tutte le immagini sono state secretate, ad eccezione di quelle allegate al verbale», sottolinea la procura di Catania, che ha autorizzato la Marina a diffondere le foto meno scabrose, cosa che la Forza armata ha fatto su Twitter.  Tutto il materiale raccolto da 'Plutò è comunque ora all'esame dell'autorità giudiziaria.

Verranno probabilmente fatti sopralluoghi ulteriori, tecnicamente è anche possibile - a quella profondità - far immergere i palombari-incursori del Gos, specialisti nella bonifica dalle mine e negli interventi a quote profonde, ma non è detto che sarà necessario. Allo stato sembra da escludere - salvo esigenze legate all'inchiesta - un'attività finalizzata al recupero del barcone, destinato dunque a rimanere un sacrario nel profondo del mare.  Per la magistratura, comunque, il ritrovamento del relitto è un fatto importante perchè le ulteriori ispezioni potranno fornire elementi sia sul numero effettivo delle vittime, sia sulle cause dell'affondamento. Finora si è parlato di un'errata manovra dello scafista che ha portato il barcone ad urtare tre volte contro il cargo intervenuto a soccorrere i migranti, il cui agitarsi in plancia avrebbe poi portato al ribaltamento del peschereccio. E i primi accertamenti sulla documentazione raccolta, spiega ancora la procura di Catania, indicano effettivamente «l'esistenza sul relitto di danni alla prua e sulla parte anteriore sinistra della fiancata, derivanti probabilmente dall'urto con il mercantile».

In ogni caso, «valutazioni più approfondite saranno possibili a seguito dell'esame del filmato». L'inchiesta della procura di Catania intanto prosegue con l'audizione dei sopravvissuti davanti al gip, con le modalità dell'incidente probatorio. Sono diversi tra i 26 superstiti quelli che accusano il presunto 'comandantè tunisino, Mohammed Alì Malek, di 27 anni, e il suo mozzo, Bikhit Mahmud, 25 anni, siriano, entrambi arrestati. Alcuni, però tendono a scagionare il siriano: era «un viaggiatore come noi», ha detto ad esempio ieri un eritreo, confermando il ruolo di comandante del tunisino. L'udienza di incidente probatorio riprenderà domani.

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