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Piacentini: «Si contrasti lo stato islamico fermando gli scafisti in Libia»

"Gestire i flussi è cruciale, ma non perché la minaccia terroristica arrivi principalmente a bordo dei barconi. Respingere o sparare è un rimedio peggiore del male"

Biforcuto e apparentemente incontrollabile. Ma, nello stesso tempo, due facce di una stessa questione: «Lo possiamo ricondurre a unità il duplice problema della minaccia terroristica interna fatta di foreign fighters e potenziali lupi solitari e, dall' altra parte, del contrasto all' Isis attraverso una efficace gestione dei flussi migratori che ne arricchiscono le finanze. Senza necessità di forzare i tempi di interventi armati diretti». Complicata ricetta, che il generale Luciano Piacentini, all' indomani dell' ultimo arresto di un sospetto miliziano in Emilia, in applicazione delle norme antiterrorismo nuove di zecca, prova a declinare.
Nelle stesse ore, in Francia è stato fermato un presunto terrorista in procinto, secondo gli investigatori, di mettere sotto attacco diverse chiese. Piacentini ha alle spalle anni di esperienza sul campo afghano, alla testa delle forze speciali del «Col Moschin», e oggi fa parte del consiglio strategico della Fondazione Icsa (Intelligence Culture and Strategic Analysis).
Generale, la minaccia terroristica per l' Italia ha il volto dei foreign fighters sempre più allo scoperto e degli uomini fedeli al Califfo al di là del Canale di Sicilia.

Lo stesso premier Renzi ha affermato che «sui barconi non arrivano soltanto disperati...». Che fare, mentre la Lega di Salvini e non solo chiede giri di vite e respingimenti?
«Gestire i flussi è cruciale, ma non perché la minaccia terroristica arrivi principalmente a bordo dei barconi. Respingere o sparare è un rimedio peggiore del male. Se l' Italia si trova in una posizione privilegiata, spesso, nel sentire dei popoli africani e asiatici, rispetto ad altri Paesi, è proprio perché accoglie. E lo fa anche bene. Accogliere, e lo dico da militare, è un' arma positiva. Il nostro governo fa bene a insistere su un' azione europea ormai improrogabile. Controllare l' accoglienza è fondamentale».

Il presidente del Consiglio ha anche proposto azioni mirate sulle coste libiche, sotto il comando italiano. Soluzione strategica praticabile?
«No, almeno senza un preventivo e possente dispiegamento di intelligence basata sull' attività umana. La chiamiamo Humint, in gergo tecnico. Human Intelligence: indispensabile per intercettare, «acquisire», il malcon tento della popolazione, in una nazione, come oggi è la Libia, dilaniata dal conflitto trai due partiti che si contendono - parliamo chiaro - petrolio e gas, cioè quello eletto e riconosciuto di Tobruk e l' altro di Tripoli, e oltre trecento fazioni tribali ringalluzzite dalla caduta di Gheddafi.
Non vedo imminenti vantaggi da azioni militari dirette, però sì, l' Italia può e deve assumere un ruolo guida in un campo, quello del coordinamento e della gestione di informazioni, nel quale può soltanto dare buoni esempi.
Un intervento militare occidentale, anziché sgretolare il consenso o, meglio, la passività delle popolazioni locali, sortirebbe, adesso, l' effetto opposto di compattare tutte le fazioni contro il comune nemico 'infedele' in missione anti -islamica».

Quali buoni esempi possiamo dare all' Europa in materia di intelligence?
«Il fatto culturale, maturato in oltre un decennio di lotta costosissima alle Br, è un valore che abbiamo tradotto in fatti e apparati. Le nostre tre forze di polizia e rappresentanti dei servizi interni ed esterni si confrontano periodicamente dentro il Casa - Comitato di analisi strategica e antiterrorismo, istituito nel 2003 dopo la strage di Nassiriya - scambiandosi e valutando insieme le informazioni raccolte per proprio conto. Informazioni che, poi, vengono diramate alle forze di polizia e prevenzione nel territorio. Il risultato sono gli arresti di gente possibilmente legata ai gruppi combattenti o destinata a ingrossare le file dei lupi solitari. In sede europea, e in seno agli altri 27 Paesi membri, potrebbe essere fatto lo stesso. Vede come i problemi del fanatico di casa nostra, dei problemi oltre il Mediterraneo e dell' azione europea non siano poi così distinti? E non certo per la semplicistica paura che i terroristi possano arrivare sui barconi. Come diceva Mao Zedong, bisogna togliere l' acqua ai pesci - che in questo caso sono gli jihadisti- conquistando il consenso dei popoli. Una guida italiana può significare soltanto questo. Soltanto così possiamo valutare gli interventi con gradualità».

Eppure, sull' altro scenario di lotta al Califfato, Si ria e Iraq, i raid aerei non vengono certo lesinati...
«C' è una coalizione a guida statunitense che sceglie gli obiettivi grazie, appunto, al sostegno delle persone sul terreno. Il concetto di guerra totale va tenuto distante a tutti i costi, ma il fronte è comune. Si ricordi che in Libia gli Usa sono sostanzialmente defilati e riluttanti aun impegno diretto. Questo significa che la Humint, intanto, deve servire ad arrivare alla riconciliazione nazionale, senza, ripeto, compattare le fazioni musulmane contro un indistinto nemico occidentale. L' Italia può trovare sponda nei servizi di Libano e Giordania, Paese guidato dall' ashemita Abdallah: dinastia alla quale viene attribuita discendenza dal Profeta e, perciò, estremamente rispettata. Fronte comune, ma mezzi e obiettivi differenti».

Perché un intervento armato di coalizione, sul piano geopolitico, potrebbe non essere vantaggioso per l' Italia?
«Pensi alle bombe francesi del 2011, nel collasso del regi medi Gheddafi. L'Italia ha interessi storici in Libia, e un ruolo di partnership privilegiata: non può essere affascinata dalla prospettiva di mettere il marchio Total o Bp ai pozzi finora concessi all' Eni. Sarà brutale dirlo, ma è così. Per tacere del fatto che in Libia, senza sostanziale protezione, agiscono quasi 200 imprese nazionali, per un volume d' affari di un miliardo di euro. Si tratta di aziende che non sono coinvolte nell' indotto del petrolio e del gas, ma in quello delle telecomunicazioni, della fibra ottica, degli apparati tecnologici. Vogliamo tutelare i nostri addetti veramente? Favoriamo la pacificazione tra le fazioni».
Come?
«L' Europa non ha ancora giocato la carta, fondamentale, della dinastia sufi Senoussia, che guidava le tre regioni libiche principali prima del colpo di Stato di Gheddafi. I suoi esponenti sono in esilio a Londra, possono essere investiti del compito di mediare tra le fazioni, per arriva rea elezioni condivise e incruente».

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