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Opere Pie, crollano i colossi: in Sicilia perdite per 35 milioni

Il presidente dell’Ares: abbiamo tanti beni, vendiamoli per coprire i debiti. Una boccata d’ossigeno arriva dall’ospitalità a migliaia di migranti clandestini

PALERMO. All’Opera pia di Piazza Armerina i dipendenti non prendono lo stipendio da sei anni, e una situazione simile si registra nella struttura di Acireale: esempi del crollo di colossi che dovevano rappresentare l’eccellenza nell’assistenza ad anziani e bisognosi e invece si sono trasformate in una macchina mangiasoldi che ha inghiottito 35 milioni e che ora per sopravvivere conta solo sulla gestione delle migliaia di immigrati sbarcati nelle coste siciliane.
La Regione ha completato un monitoraggio sui bilanci delle 150 Opere Pie siciliane scoprendo che appena una quarantina hanno i conti in ordine. «Le altre - spiega la dirigente dell’assessorato alla Famiglia, Antonella Bullara - hanno prodotto perdite per 35 milioni». Giusto per fare qualche esempio, nel Catanese ben 16 delle 28 Opere Pie registrano perdite: quella di Giarre è in rosso mediamente per 480 mila euro all’anno, alla Bellia-Cutore di Paternò si è arrivati fino a 667 mila, l’Oasi Cristo re di Acireale nel 2012 è andata in rosso per 996 mila euro, alla Casa di riposo Maria di Gesù di Caltagirone si è toccato il record di 3 milioni.

Nel Palermitano sono in rosso 8 su 25 Opere Pie: quella di Monreale perde mediamente 1,4 milioni all’anno, la Ruffini di Palermo un milione all’anno e poco di più la Genchi Collotti di Cefalù. «A questi enti - spiega la Bullara - la Regione è tenuta a erogare solo un contributo per pagare il personale. Però è pur vero che le assunzioni non sono state fatte rispettando parametri di rigore. E così i soldi non bastano mai». Nelle 150 Opere Pie lavorano 750 dipendenti di ruolo e circa 1.300 contrattisti.

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