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Le «agromafie», i falsi a tavola? Ogni anno un affare da 66 miliardi di euro

In Sicilia i proventi illeciti sono 5 miliardi all’anno: i prodotti maggiormente contraffatti olio d’oliva, farina, pomodori, salumi

CALTANISSETTA. Versi l’olio sull’insalata, convinto che sia olio spremuto da olive raccolte magari a qualche decina di chilometri da casa. Assaggi un prosciutto con la soddisfazione che il maiale dal quale è stato ricavato è stato allevato nelle campagne della tua regione.

Ma l’origine di quel che mangiamo, di quello che arriva sulle nostre tavole è spesso ben diversa da quella che immaginiamo. A partire dall'olio per finire al prosciutto, per l’appunto, passando attraverso una serie numerosissima di prodotti agroalimentari, quelli che consumiamo quotidianamente, consapevoli che siano italiani al cento per cento, ma che in realtà provengono da un altrove imprecisato. Ormai sono troppi gli alimenti che vengono contraffatti e che vanno a saziare, oltre che il nostro stomaco, anche il volume d'affari della mafia.
I numeri sono emersi nel corso di un convegno organizzato a Caltanissetta dalla Coldiretti su «agromafia e contraffazione alimentare» e sono, purtroppo, numeri da capogiro. Ogni anno l'Italia esporta all'estero prodotti agroalimentari per 33 miliardi di euro, ma il fenomeno «italian sounding» - ovvero il commercio di prodotti alimentari taroccati e commercializzati come se fossero originali - fattura il doppio, 66 miliardi di euro l'anno.
Dati allarmanti soprattutto per i consumatori che non possono essere certi di consumare prodotti di casa propria, che non sono così garantiti sul piano della qualità e dunque della salite. Più che di casa nostra, questi alimenti sono di Cosa nostra. Gioco di parole quanto mai appropriato se si pensa che la criminalità organizzata, che ormai sempre di più si insinua nel settore agricolo, produce un fatturato illegale di 14 miliardi di euro l'anno, di cui 5 soltanto in Sicilia.

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