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Caso Ruby: ecco le motivazioni dell'assoluzione di Berlusconi

I giudici della II corte d'appello di Milano hanno depositato le motivazioni della sentenza con la quale lo scorso luglio hanno assolto con formula piena Silvio Berlusconi, imputato per concussione e prostituzione minorile per il caso Ruby

MILANO. E' certo che Ruby si sia prostituita ad Arcore durante le serate in cui è andato in scena il "Bunga-Bunga" ed è certo che tra lei e il padrone di casa ci sono stati "atti di natura sessuale retribuiti". Non è provato, invece, che Silvio Berlusconi conoscesse la vera età della ragazza, ai tempi non ancora maggiorenne, così come non è provato che l'allora Presidente del Consiglio, "preoccupato" del rischio di "rivelazioni compromettenti" sui festini a luci rosse, quando telefonò alla Questura di Milano per ottenere il rilascio della giovane marocchina abbia minacciato o intimidito i funzionari di polizia che si occuparono del caso.

E' questo, in sintesi, il quadro dipinto nelle motivazioni con cui i giudici della seconda Corte d'Appello di Milano (presidente Enrico Tranfa), lo scorso 18 luglio, hanno cancellato la condanna a sette anni di carcere inflitta in primo grado e assolto con formula piena il leader di Forza Italia, accusato di concussione per costrizione e prostituzione minorile. Nelle 330 pagine scritte dal giudice Concetta Locurto viene confermato il contesto in cui si svolgevano le feste a villa San Martino, quando tra le invitate e per "otto volte in tutto" c'era anche Karima El Mahroug: non "cene eleganti", ma "attività prostitutiva" con "intrattenimenti a sfondo sessuale" caratterizzati dalla "sfrontata disinibizione delle ragazze", dalla "ostentazione di nudità" e dalla "disponibilità a strusciamenti, palpeggiamenti" e con "ingenti somme di denaro in contante" e "gioielli consegnati da Berlusconi alle ragazze".

Una premessa questa che ha portato la Corte a sostenere che tra Ruby e l'ex Cavaliere gli "atti di natura sessuale", poi ricompensati, ci furono. Tuttavia manca il "dolo dell'imputato", perché mancano le prove per concludere che lui sapesse della "minore età" della bella 'Rubacuori'. Ed è vero che quando, la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010, Berlusconi chiamò sul cellulare il capo di Gabinetto della Questura di Milano, Pietro Ostuni, aveva "un personale, concreto interesse a risolvere la questione" con l'affidamento della giovane marocchina, spacciata per nipote di Mubarak, alla 'fedelissima' Nicole Minetti.

La "scoperta" della reale età della giovane da parte dell'ex capo del Governo, infatti, "acquisita al più tardi quella sera stessa (...) non poteva che preoccupare l'imputato", per il quale l'eventuale "collocamento della minore in una Comunità e la sua attrazione nella sfera di controllo delle Autorità minorili avrebbe comportato il rischio di rivelazioni compromettenti". Per il collegio, però, "deve escludersi che (...) la costrizione mediante minaccia fosse l'unico strumento per riuscire ad ottenere l'affidamento" di Karima a Minetti. E "non vi è prova della ascrivibilità a Berlusconi di una intimidazione costrittiva nei confronti" di Ostuni. Secondo la Corte, che comunque ritiene provato "l'effetto acceleratorio" della telefonata, è "più plausibile e coerente con il quadro" probatorio che il funzionario di polizia "abbia inizialmente peccato di eccessivo ossequio e precipitazione".

Anche quando Ostuni poi scoprì che non esisteva la parentela tra Ruby e l'ex rais egiziano continuò ad insistere per l'affido forse per "timore reverenziale, debolezza, desiderio di non sfigurare, timore auto indotto, convinzione di agire nel lecito". Anche il "sistema prostitutivo", secondo i giudici, è un fatto accertato: tra "gli atti di carattere sessuale consumati pubblicamente" ad Arcore, e ai quali partecipava anche Ruby, ragazza dai "costumi disinibiti" e dalle "attitudini esibizionistiche", i magistrati elencano le "esibizioni licenziose", come "spogliarelli", "lap dance", "simulazioni di atti sessuali", i "toccamenti del seno, glutei o altre parti intime", "bagni di gruppo in piscina, baci". Tuttavia, secondo la Corte, dalla "consapevolezza della minore età" di Ruby "in capo a Emilio Fede non può comunque trarsi la prova certa di analoga consapevolezza in Berlusconi".

E lo stesso Fede "non aveva alcun interesse a rivelarla a Berlusconi, mettendo a rischio la partecipazione della giovane alle serate". La presenza della giovane, infatti, "compiaceva il padrone di casa e alimentava un sistema di spregiudicati intrattenimenti da cui lo stesso Fede traeva concreto vantaggio". Secondo il collegio, infine, la legge Severino, che nel 2012 ha introdotto la distinzione tra la concussione per costrizione e quella per induzione, non ha influito sull'assoluzione di Berlusconi.

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