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Cuffaro, la Cassazione dice no alla riduzione della pena

ROMA. L'ex governatore della Sicilia  Salvatore Cuffaro - che sta scontando la condanna a sette anni  di reclusione per favoreggiamento personale e rivelazione di  segreto d'ufficio aggravati dall'aver aiutato Cosa Nostra - non  ha diritto di chiedere la «correzione» della pena inflittagli  perchè l'aumento di pena deciso in appello e confermato dalla  Suprema Corte non ha ecceduto i limiti previsti dalle norme ed  anzi è ben inferiore al massimo consentito. Lo sottolinea la  Cassazione nella sentenza 35464 della Prima sezione penale  depositata oggi e relativa all'udienza svoltasi il primo aprile.    


Dopo la decisione con la quale il Tribunale di sorveglianza  di Roma lo scorso 20 dicembre ha negato l'affidamento di Cuffaro  ai servizi sociali, è questa la seconda volta che l'ex  governatore vede deluse le sue speranze di uscire in anticipo  dalla cella del carcere romano di Rebibbia dove è detenuto.  Con il ricorso alla Suprema Corte, affidato all'avvocato  Antonino Mormino, Cuffaro ha sostenuto che era «eccedente»  l'aumento di pena di due anni inflittogli in secondo grado, e  confermato il 21 febbraio 2011 dalla stessa Cassazione, che  aveva portato a sette anni di reclusione la pena di primo grado  pari a cinque anni e relativa alle due contestazioni di  favoreggiamento e alle due accuse di rivelazione. Su ricorso  della Procura, la condanna per l'ex governatore si era  appesantita a seguito del riconoscimento dell'aggravante mafiosa  per aver aiutato l'imprenditore della sanità Michele Aiello e il  boss Giuseppe Guttadauro a sottrarsi alle indagini della Procura  di Palermo. L'avvocato Mormino ha contestato gli aumenti ma i  supremi giudici hanno bocciato «tutte» le sue «prospettazioni».    


«Esula dal caso in esame - scrive la Cassazione - la pur  evocata illegalità della pena parziale e finale, dato che la  sanzione di anni cinque di reclusione, determinata per il  delitto più grave (favoreggiamento), è stata aumentata di un  anno per il reato di rivelazione di segreti di ufficio e  complessivamente, per i tre reati in continuazione, di anni due  donde la pena definitiva di anni sette, con un incremento,  quindi, ben al di sotto del massimo del triplo consentito  dall'art.81, commi primo e secondo del codice penale».  

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