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Mafia, il pentito Malvagna: "Dopo Capaci Provenzano voleva collaborare con l'Arma"

PALERMO. La volontà di collaborare con i carabinieri del boss Bernardo Provenzano è stata al centro dell'ultima parte della deposizione del pentito catanese Filippo Malvagna, ex affiliato al clan Pulvirenti-Santapaola, sentito come teste oggi al processo sulla trattativa Stato-mafia. Nel '92, a cavallo tra le stragi di Capaci e via D'Amelio, Malvagna sarebbe stato contattato da un carabiniere che era da tempo a libro paga dei clan mafiosi catanesi e palermitani. Il militare, di cui il pentito ha fatto il cognome in aula, ben remunerato perchè aveva dato spesso informazioni riservate importanti (una volta aveva anche salvato un latitante palermitano da una cattura imminente), avrebbe riferito, spaventato, di aver saputo che di lì a poco ci sarebbe stato un incontro tra la moglie di Provenzano e un capitano dell'Arma, per una collaborazione informale tra il capomafia e i carabinieri.  Ai mafiosi il carabiniere infedele - Bonaccorso il suo cognome - avrebbe consegnato un biglietto su cui era indicato anche il nome del capitano con il quale Provenzano avrebbe dovuto avviare la collaborazione. La cosa sarebbe immediatamente stata riferita al boss catanese Nitto Santapaola e al capomafia Giovanni Brusca.  Il particolare, molto rilevante per l'accusa che ipotizza proprio l'esistenza di un accordo tra il padrino di Corleone ed esponenti dell'Arma, Malvagna l'avrebbe riferita all'inizio della sua collaborazione in un vecchio e dimenticato verbale del maggio '94. Da allora non gli sarebbe mai più stata chiesta.  Il racconto sembra confermare indirettamente quanto già detto da un altro pentito, l'ex capomafia Nino Giuffrè, a proposito di una notizia arrivata da Catania secondo cui Provenzano aveva avviato un dialogo con i carabinieri tramite la moglie.

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