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Maxifrode acciaio, l'accusa: "Massimo Ciancimino al vertice dell'organizzazione"

PALERMO. Per l'accusa la "maxifrode all'acciaio" da 130 milioni aveva ai vertici dell'organizzazione, Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco di Palermo, Vito.
Oggi a Ferrara alla prima udienza preliminare il processo si è spezzato in cinque parti: a Ferrara, Reggio Emilia, Modena, Verona e Pesaro, per la competenza territoriale sollevata dallo stesso giudice che ha deciso di stralciare le posizioni di quattordici dei 34 imputati per i quali la procura ha chiesto il rinvio a giudizio e ha inviato gli atti  alle procure di competenza, stabilite sulla base della sede legale delle aziende coinvolte nelle presunte triangolazioni truffaldine.
Per gli altri 20 imputati, tra cui Massimo Ciancimino, invece, la discussione è stata rinviata alle udienze del 19 maggio e 16 giugno. Secondo la procura tra il 2007 e il 2010 gli imputati avrebbero realizzato, con ruoli diversi, una "truffa carosello" con la compravendita dell'acciaio che avrebbe fruttato 130 milioni di euro tra evasione fiscale (100 milioni) e Iva imposta ai compratori e non versata allo Stato (30 milioni): un giro vorticoso tra imprese e società e trader dell'acciaio tra
Ferrara, Reggio Emilia e Repubblica di San Marino e all'estero nei paradisi fiscali di Panama. I reati contestati a vario titolo sono evasione e frode fiscale, bancarotta, contrabbando,  mendacio bancario, falsi in atti pubblici e privati.
  

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