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Mafia, strage di via D'Amelio: a Caltanissetta Mancino si avvale di facoltà di non rispondere

CALTANISSETTA. L'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, chiamato a deporre al processo per la strage di via D'Amelio in corso a Caltanissetta, si è avvalso della facoltà di non rispondere. L'ex politico Dc, che è imputato al dibattimento sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, doveva essere sentito come imputato di procedimento connesso: tale status gli ha dato la possibilità di astenersi dal testimoniare. «Non voglio sottrarmi in alcun modo, ma non voglio interferire su un procedimento in cui non sono stato ancora interrogato», ha detto riferendosi proprio al processo di Palermo sulla trattativa in cui è accusato di falsa testimonianza. Mancino avrebbe dovuto deporre sul suo incontro col giudice Paolo Borsellino avvenuto l'1 luglio 1992, giorno del suo insediamento alla guida del Viminale.


ROGNONI: "DEL CONTROPAPELLO SEPPI DA STAMPA". Non ha mai conosciuto l'ex generale del Ros Mario Mori, nè l'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, protagonisti, secondo i magistrati di Palermo e Caltanissetta, della cosiddetta trattativa Stato-mafia. E del  «contropapello», l'elenco delle richieste della mafia allo Stato «rivisto» e ammorbidito dallo stesso Ciancimino, ha appreso solo dalla stampa. «Quando vidi che sopra c'era scritto il mio nome trasecolai», ha detto Virginio Rognoni, ex ministro dell'Interno e della Difesa ed ex vicepresidente del Csm che oggi ha deposto, a Caltanissetta, al processo sulla strage di Via D'Amelio costata la vita al giudice Paolo Borsellino. Rognoni, che ha ripercorso la sua lunga carriera politica, ha ricordato che Piersanti Mattarella, ex presidente della Regione siciliana ucciso dalla mafia, gli disse che Ciancimino era un suo avversario politico e che si opponeva alla sua politica di pulizia negli appalti. Il teste ha anche accennato alla figura del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, da lui mandato a Palermo. «Gli dissi - ha detto - vada e faccia il suo lavoro, cosa che gli ripetei l'ultima volta che lo vidi, poco prima della sua morte, quando mi confidò che avvertiva l'ostilità di parte della Dc e in particolare della corrente andreottiana». Sull'avvicendamento al Viminale tra Vincenzo Scotti e Nicola Mancino, emblematico, secondo l'accusa, dell'ammorbidimento dello Stato verso Cosa nostra, Rognoni ha detto: «Non ne ricordo la causa. So solo che Forlani introdusse la regola della non sovrapponibilità tra la carica di parlamentare e quella di ministro e che Scotti, nel frattempo nominato ministro degli Esteri, si dimise perchè non volle rinunciare al Parlamento».

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