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Dell'Utri: "Non mi sottraggo alla cattura, sono via per motivi di salute"

PALERMO. L'ex senatore Marcello Dell'Utri è ufficialmente latitante da ieri, ma la notizia della sua fuga all'estero non ha sorpreso più di tanto: sia perchè non si tratta della prima volta; sia perchè in una pausa del suo ventennale processo per concorso esterno in associazione mafiosa, giunto ormai alla vigilia dell'ennesimo vaglio da parte della Cassazione, dichiarò placidamente ai giornalisti che lui in politica era entrato solo per evitare l'arresto. Sbagliò allora chi pensò che Marcello Dell'Utri, «padre» di Publitalia e braccio destro di Silvio Berlusconi, stesse lanciando una provocazione.   Chi lo conosceva sapeva che stava dicendo esattamente come erano andate le cose. Sapeva che l'ex bancario che fece fortuna al Nord, al quale la Dia non è riuscita a notificargli l'ordine di arresto emesso a suo carico dalla corte d'appello di Palermo, il rischio di finire in una cella non l'avrebbe mai corso.   
E di ciò in realtà una prova s'era già avuta a marzo del 2012 quando cercò di darsi alla macchia a pochi giorni dalla data in cui la Suprema Corte si sarebbe dovuta esprimere sulla prima condanna a 7 anni inflitta a Palermo. Allora l'ex manager scelse come buen retiro l'assolata Santo Domingo che, si seppe poi, gli conferì cittadinanza e passaporto diplomatico. Ora alla vigilia di una nuova pronuncia della Cassazione, chiamata a decidere sulla seconda sentenza d'appello che ha confermato la pena antica, l'ex senatore ha scelto il Libano.  
Ne è certa la Dia che l'ha localizzato grazie alle «celle» del telefonino, captato nel Paese arabo il 3 aprile. Lo dice un testimone che avrebbe volato accanto a lui su un Parigi-Beirut. Lo confermano le frasi confidate a un amico dal fratello gemello, Alberto, fin dal novembre scorso. «Il programma è quello di andarsene in Libano perchè lì è una città dove Marcello ci starebbe bene perchè lui c'è già stato la conosce, c'è un grande fermento culturale», diceva seduto al tavolo di un ristorante romano.  
Da lontano l'imputato latitante fa sentire la sua voce guardandosi bene dal rivelare dove si trova. «Non intendo sottrarmi al risultato processuale della prossima sentenza della Cassazione - dice tramite il suo legale - e trovandomi in condizioni di salute precaria, per cui tra l'altro ho subito qualche settimana fa un intervento di angioplastica, sto effettuando ulteriori esami e controlli». Dell'Utri non risparmia poi critiche all'«aberrante» provvedimento di arresto disposto dalla corte. La stessa che a marzo del 2013, invece, gli aveva risparmiato le manette.   Sì, perchè un precedente c'è. Allora, quando la corte d'appello stava per decidere il processo, il pg chiese la misura cautelare in carcere invocando il pericolo di fuga. Ma i giudici la respinsero. Tutto diverso stavolta.
Il 4 marzo il pg, sulla base di un rapporto della questura di Milano che metteva nero su bianco l'impossibilità di controllare l'imputato, in possesso di più passaporti diplomatici, e della intercettazione della conversazione del fratello, ricevuta dai pm romani, ha chiesto alla corte il divieto di espatrio. I giudici hanno detto no scrivendo che per i reati di mafia l'unica misura possibile è il carcere. E tra le righe hanno suggerito al pg di procedere con un'istanza di quel tipo. Ma la procura generale non l'ha fatto, ritenendo più consono un provvedimento più blando e ha impugnato la decisione della corte davanti al tribunale del riesame che ha rigettato il tutto ritenendo l'intercettazione del fratello dell'imputato inutilizzabile. In sede di riesame però Dell'Utri ha visto concretizzarsi il rischio di manette avendo avuto conoscenza delle intercettazioni. Solo l'8 aprile il pg ha chiesto l'arresto, disposto dal collegio proprio sulla base del pericolo di fuga e delle confidenze involontariamente svelate da Alberto Dell'Utri. Naturalmente, però, a casa dell'ex manager di lui non c'è traccia.  
Scattano a questo punto anche le ricerche internazionali. Se mai l'ex senatore dovesse essere trovato si aprirà, però, una partita complessa giocata a colpi di norme internazionali e trattati. E si dovrà vedere se il Paese che ospita l'ex manager ha accordo di estradizione con l'Italia. La corte d'appello di Palermo, presieduta da Raimondo Lo Forti, che ha disposto l'arresto dell'ex senatore, ha emesso oggi pomeriggio anche un mandato di arresto europeo a carico dell'ex politico. Il provvedimento vale per i Paesi europei e per gli altri paesi con cui l'Italia ha stretto trattati di estradizione. Per le ricerche negli altri Stati dell'ex manager di Publitalia  è stato attivato l'Interpol attraverso i canali previsti.


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