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Assaltano furgone della polizia per liberare detenuto: due feriti a Varese, muore un bandito

VARESE. Sono quattro le persone che hanno partecipato all'assalto che ha portato alla liberazione dell'ergastolano Domenico Cutrì, che era detenuto nel carcere di Busto Arsizio. Tra loro il fratello dell'uomo, Antonino Cutrì, deceduto nel conflitto a fuoco con gli agenti di polizia e scaricato dai complici già morto davanti all'ospedale di Magenta.
Gli assalitori hanno agito vicino alla porta d'ingresso del Tribunale di Gallarate dove, armati di pistola e di spray urticante, hanno sorpreso gli agenti che stavano accompagnando all'esterno il detenuto al termine di una udienza. E' scoppiata una colluttazione e sono stati sparati alcuni colpi di pistola. Nell'assalto hanno subito lievi ferite due agenti di polizia, che ora sono ricoverati per accertamenti al pronto soccorso dell'ospedale di Gallarate. Uno dei due agenti, spinto dalle scale ha riportato un trauma cranico. L'altro ha dei problemi agli occhi perchè i malviventi hanno usato uno spray urticante.
Polizia e carabinieri hanno allestito dei posti di blocco per intercettare l'auto in fuga, e sono in corso i rilievi sulla seconda vettura dei malviventi, sequestrata, con a bordo alcune armi, tra cui fucili da assalto.


Scontava una pena all'ergastolo per omicidio Domenico Cutrì. L'uomo era stato condannato in appello per l'uccisione di Luckasz Kobrzeniecki, un polacco di 22 anni freddato a colpi di pistola nel 2006 a Trecate (Novara). Cutrì, secondo le accuse, era al volante dell'auto da cui partirono gli spari che la notte del 15 giugno di otto anni fa uccisero la vittima. Arrestato tre anni dopo, si è sempre professato innocente. La condanna in primo grado nel luglio 2011.
Cutrì, sempre secondo l'accusa, fece eliminare Kobrzeniecki perché riteneva che avesse fatto delle avances alla sua fidanzata. A compiere materialmente l'omicidio Manuel Martelli, condannato nell'ottobre 2012 a 16 anni di carcere con il rito abbreviato. Tre anni per lo stesso omicidio a Luca Greco, imputato di favoreggiamento (avrebbe intralciato le indagini e fornito un alibi fasullo a Cutrì). Nel processo d'appello a favore di Cutrì, difeso dall'avvocato Giulia Bongiorno, testimoniò una donna di origini calabresi, sostenendo che all'ora del delitto avevano avuto un appuntamento galante nell'abitazione di Cutrì. Una versione emersa soltanto a distanza di anni, perché la donna temeva che il marito potesse scoprire quella relazione clandestina. L'alibi, però, non convinse il procuratore generale di Torino Vittorio Corsi, che dispose ulteriori accertamenti. A smontarlo le testimonianze del titolare e del portiere di un albergo di Vittuone (Milano), dove l'uomo si trovava realmente come hanno poi confermato anche i registri dell'hotel

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