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Processo Cuffaro, la Cassazione: "Prosciolto perchè i fatti sono già stati giudicati"

Pubblicate le motivazioni della sentenza, pronunciata il 21 marzo scorso. I giudici della Cassazione: "Piena sovrapposizione dei fatti contestati nei due procedimenti penali, corretta la decisione della Corte d'Appello"

ROMA. Prima il tribunale, poi la Corte d'Appello di Palermo hanno esaminato «con particolare precisione» le singole condotte elencate nel capo d'imputazione a carico dell'ex governatore della Regione Sicilia Salvatore Cuffaro, e la posizione «era già stata giudicata con riferimento ad ognuno dei nove fatti indicati nell'accusa». Pertanto «va escluso che ricorra diversità tra i fatti contestati nei due processi». Così la seconda sezione penale della Cassazione motiva la sentenza, pronunciata il 21 marzo scorso, con la quale aveva prosciolto Cuffaro dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa: l'ex politico della Dc condannato per gli stessi fatti nel processo «Talpe», e sta scontando una condanna a 7 anni.  Era stata la procura generale presso la Corte d'Appello di Palermo a presentare ricorso alla Suprema Corte contro la sentenza di «non luogo a procedere» per «ne bis in idem» pronunciata dalla stessa Corte d'Appello il 20 giugno 2012, in conformità con quanto stabilito dal gup, nel giudizio con rito abbreviato. I giudici d'appello avevano ritenuto che i fatti contestati nel processo fossero gli stessi per cui Cuffaro sta già scontando in carcere la condanna definitiva per favoreggiamento. Mentre secondo il pg «le medesime fonti probatorie possono essere utilizzate per dimostrare l'esistenza di un ulteriore illecito che risulti commesso con la medesima azione con la quale è stato integrato quello già giudicato». I giudici della Cassazione hanno decretato «la piena sovrapposizione dei fatti contestati nei due procedimenti penali». Si tratta, spiega la Corte dei «medesimi fatti, solo diversamente qualificati». Per la stessa ragione, concludono i giudici, «deve ritenersi corretta la decisione della Corte d'Appello che ha ritenuto di non ammettere gli ulteriori mezzi di prova (le dichiarazioni di Giuseppe Provenzano e Massimo Ciancimino, ndr)».

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