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Le mani della mafia sull'economia e sulle imprese del Nord

Parla Alessandro De Lisi, da anni impegnato nella lotta a Cosa Nostra: "La percezione in posti come la Lombardia non esiste ancora, non esiste la denuncia. Qui siamo come a Palermo prima delle stragi del 1992"

PALERMO. Le mani della mafia sull’economia e sulle imprese del Nord sono ormai nomi e cognomi in migliaia di pagine di inchieste giudiziarie, “ma la percezione non esiste ancora, non esiste la denuncia. In Lombardia siamo come a Palermo prima delle stragi del 1992”. Alessandro De Lisi giornalista palermitano, saggista, esperto di sistemi sociali complessi, da anni è impegnato nella lotta contro la mafia. Oggi vive in Lombardia ed è il direttore del Progetto San Francesco a Cermenate, in provincia di Como e a pochi chilometri dalla Svizzera, un programma nazionale di lotta alle mafie nel mondo del lavoro voluto dalla Cisl e dalle sue federazioni, che ha sede in una villetta confiscata alla ‘ndrangheta, col Centro studi dedicato a Giorgio Ambrosoli.


Una sorta di casa per il pool antimafia, quello di ieri, in memoria del giudice Nino Caponnetto, e quello di oggi, dove personalità del mondo della magistratura, dell’impresa e delle forze dell’ordine come Giuseppe Pignatone, Michele Prestipino, Ivan Lo Bello, Alessandro Marangoni sono di casa. Un impegno che è costato a De Lisi minacce e rischi, ma lui va avanti in memoria del "debito nei confronti dei giudici Borsellino e Caponnetto".

 
COME NASCE L’IDEA DEL PROGETTO SAN FRANCESCO?


«Uomini come Raffaele Bonanni, Domenico Pesenti, Battista Villa si sono resi conto degli enormi rischi che si correvano nelle grandi opere infrastrutturali del Nord, dall’Expo alla Tav, dove saltano le regole della certificazione antimafia preventiva col sistema dei subappalti. L’edilizia è uno dei settori più esposti a quella che possiamo definire una vera trasformazione criminale. Così la Filca Cisl ha chiamato a riflettere questo tema alcuni esperti, in periodo, cinque anni fa, in cui non c’erano ancora state le operazioni ‘Infinito’, che hanno portato all'arresto di centinaia di persone per associazione mafiosa scoperchiando affari tra la Calabria e la Lombardia. Sono state fondamentali alcune discussioni strategiche come quelle col penalista palermitano Francesco Crescimanno».

 


QUALE OBIETTIVO INTENDETE RAGGIUNGERE?

«In Lombardia siamo nella situazione in cui era Palermo prima delle stragi. Stiamo cercando di operare una riforma della percezione del crimine. Vent'anni fa i lenzuoli bianchi nacquero per rompere il meccanismo esotico dell'antimafia e questo vogliamo fare in Lombardia ora. Uno di quei lenzuoli è appeso al balcone del Comune di Cermenate. Abbiamo chiesto di accompagnarci a don Antonio Garau, perchè ci parlasse di don Pino Puglisi, a Totò Scelfo della Filca Cisl siciliana, perché raccontasse dei cantieri di Italia'90. E qualcosa sta cambiando. Quest'anno, per il ventennale della strage di Capaci, hanno distrutto alcune targhe che aveva realizzato gratuitamente una ditta svizzera, la quale ha voluto ripararle. Moltissime associazioni ed enti locali cominciano ad avere percezioni diverse, tanto che 17 sindaci lombardi hanno chiesto di istituire il primo distretto di responsabilità antimafia, cambiando le regole degli appalti, non facendo più gare al massimo ribasso. Purtroppo, un tale cambiamento non c’è nella politica».

 

OGNI GIORNO APPRENDIAMO DI SEQUESTRI DI AZIENDE IN ODOR DI MAFIA NELLE REGIONI SETTENTRIONALI. COME SI INFILTRA LA MAFIA NELL’ECONOMIA DEL NORD?




«Soprattutto la 'Ndrangheta non chiede il pizzo, sarebbe troppo evidente, e poi i soldi li fa con la droga. Invece, cerca di comprare il debito delle aziende in difficoltà, prendendo in ostaggio imprese e imprenditori. Non c’è un sentimento antimafioso diffuso. È già stata contaminata un'economia disponibile al nero. Ad esempio, siamo convinti che dietro a molti suicidi di imprenditori al Nord ci sia la mano della 'Ndrangheta. La crisi è il più grosso ufficio di collocamento al Nord per questa organizzazione. Allora è necessario fare squadra e conoscere il fenomeno, studiandolo».

 

QUALI PROPOSTE CONCRETE DI CONTRASTO ALLA MAFIA STATE PORTANDO AVANTI?

«Occorre rompere il meccanismo del consenso, indirizzando sul territorio risorse di 'riciclo sociale'. Proponiamo al governo di destinare il 35% del capitale confiscato su base territoriale a sostegno degli ammortizzatori sociali e delle imprese in difficoltà. Una sorta di federalismo antimafia. E poi la necessità del certificato antimafia di tutti i subappaltatori, dei professionisti e dei commercialisti che lavorano in queste imprese, che spesso sono uomini della 'Ndrangheta. Se, come diceva Sciascia, si è spostata la linea della palma, si deve spostare anche quella della primavera».

 
CHE PESO HA LA FORMAZIONE IN QUESTA CRESCITA DELLA PERCEZIONE DEL CRIMINE?


«Un peso enorme, la formazione degli imprenditori, della pubblica amministrazione, della gente, è strategica. L'Ance di Como ha deciso di ristrutturare gratuitamente la casa del Progetto San Francesco. I prossimi appuntamenti saranno a Lugano. Non basta più la passeggiata a Cinisi per conoscere cos’è la mafia, quella è un'operazione esotica. Il valore dell'impegno di Libera nei terreni confiscati nel corleonese deve replicarsi nel mondo del lavoro al Nord. Bisogna guardare sotto il tappeto, dove affari e politica hanno nascosto il collegamento col terzo livello. I colletti bianchi sono il costume di scena dei boss».

 

QUALE RUOLO POTRÀ ASSUMERE IL RICONOSCIMENTO DEL MARTIRIO DI DON PINO PUGLISI IN QUESTO CAMBIAMENTO DI CULTURA?

«Può certamente avviare una primavera nella Chiesa. Al Nord padre Puglisi è considerato come i missionari nel Sud del mondo, ma è importante che il riconoscimento del martirio si trasformi in un atto concreto politico e sociale».

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