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Il dolore dei parenti di Maximilian: "La divisa era la sua vita"

I familiari raccontano delle missioni e dei lunghi periodi trascorsi all'estero del centauro morto nella zona di via Perpignano.

PALERMO. Aveva scelto di indossare la divisa ad appena 17 anni e da quel momento non si era mai tirato indietro. Missioni, servizi, lunghi periodi trascorsi all’estero, ma sempre con il sorriso, con l’orgoglio di chi decide di appuntare i gradi sulle proprie spalle. E ieri di militari davanti alla casa di Maximilian Vinci, in via Margifaraci 74, ce n’erano davvero tanti. Mescolati tra i parenti e gli amici del trentaseienne rimasto ucciso giovedì sera quando, a bordo della sua Yamaha, ha imboccato una curva tra via Belvedere e via Portello, nella zona di via Perpignano, per poi schiantarsi contro un muro.
Maximilian, che tutti però chiamavano più semplicemente Massimo, era un sergente maggiore del 46° Reparto Trasmissioni, in servizio presso la caserma Tukory, di corso Caltafimi. Perché giovedì sera si sia messo in sella alla moto i suoi parenti non lo sanno: «Ogni mattina – racconta lo zio Benito – andava a lavorare e quando usciva, nel tardo pomeriggio, prima di rincasare passava da casa dei suoi genitori dove, a volte, si fermava per cena. Ieri (giovedì, ndr) no. Non sappiamo di preciso dove stesse andando. Era entrato a casa per lasciare il pollo appena comprato e poi era uscito di nuovo, forse per prendere le sigarette nella prima tabaccheria aperta più vicina. Di certo, chi si è accorto di lui e l’ha soccorso è arrivato troppo tardi, quando mio nipote era già morto».
Tra le ultime persone ad avere visto Maximilian Vinci c’è Alessandra, la ragazza che gli piaceva e che era andato a trovare nel bar dove lavora. «Non faceva mai quella strada e io l’avevo visto poco prima – dice, con la sigaretta tra le mani e con l’aria di chi ancora non crede a ciò che sta accadendo –. Ho capito tutto stamattina, quando sono arrivata al lavoro. Lì lo conoscevano tutti».
Maximilian era nato a Heilbronn, in Germania, ma viveva a Palermo da quando aveva 6 mesi. Una scelta del padre e della madre, che per parecchi anni hanno lavorato in fabbrica all’estero, quella di lasciarlo in Sicilia alle cure dei nonni e degli zii. «Quando è nato – racconta ancora lo zio Benito – i suoi genitori hanno deciso di portarlo via dalla Germania perché era troppo piccolo per affrontare le basse temperature invernali. Così, è cresciuto con i nonni e con gli zii, mentre mamma e papà lavoravano in fabbrica per mettere da parte i soldi necessari per comprare una casa a Palermo. Ritornavano un paio di volte all’anno, fino a quando si sono trasferiti definitivamente». E la casa in cui Maximilian viveva da solo, in cui era cresciuto coi nonni, è proprio a pochi passi da quella del padre, prossimo alla pensione, e della mamma casalinga. «La famiglia ha deciso di darla a lui – conclude lo zio, saldo punto di rifermento per tutti – proprio per il legame che lo univa a questa casa». Massimo, però, era legato anche alla divisa che indossava ogni giorno. Molte le missioni all’estero, tra cui quelle in Afghanistan, Croazia e Bosnia. «Era un soldato per scelta – dicono gli zii, con gli occhi umidi di lacrime – un bravo ragazzo con la passione per i motori. Ricordiamo quando a 17 anni faceva motocross. Era una persona speciale». E mentre ieri tutta la borgata ha affollato il piccolo ingresso della casa dove era posta la salma, da cui non si sono allontanati un attimo i genitori, a vegliare sul corpo di suo fratello c’era anche Marco, il più piccolo di famiglia arrivato dalla Valle d’Aosta. I funerali di Maximilian Vinci saranno celebrati lunedì mattina, alle 10.30, nella cappella della caserma Tukory, in corso Calatafimi.

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