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Intimidazione per Giuseppe Catanzaro "Con lo Stato, costi quel che costi"

Le fiamme hanno lambito gli uffici dell’impresa di Siculiana del numero due di Confindustria Sicilia. "Me l’aspettavo. Comprendiamo di avere un conto aperto con i mafiosi: sappiano però tutti che non c’è alcuno spazio per tornare indietro o mediare"

AGRIGENTO. Fuoco nelle notte a Siculiana, a lambire gli uffici dell’impresa di Giuseppe Catanzaro, il numero due di Confindustria Sicilia, che in contrada Matarana gestisce una delle più importanti discariche della Sicilia. L’incendio ha causato pochi danni. Ma avrebbe potuto crearne di più ingenti se solo le fiamme avessero raggiunto alcune taniche con dentro del carburante. Sarebbe stata una catastrofe.
Solo che i metronotte in servizio di sorveglianza se ne sono accorti appena in tempo. Hanno dato l’allarme e spento le fiamme. Sul posto si sono recati polizia e carabinieri, sulla vicenda vige il massimo riservo.
I danni sono molto contenuti: un cancello annerito, un mezzo bruciato, erba e sterpaglia in fumo. Ma spente le fiamme resta grande la tensione.
«Abbiamo sventato un attentato tipicamente di matrice mafiosa. Ci sono indagini in corso e non posso rendere pubblici i dettagli. Gli elementi che conosciamo suffragano inequivocabilmente la matrice mafiosa del tentato atto intimidatorio. L’attentato costituisce l’ennesimo “segnale” dei mafiosi che tentano di intimidirci: purtroppo lo aspettavamo».

Presidente Catanzaro, perché dice che ve lo aspettavate? Avete ricevuto altri avvertimenti nei giorni scorsi?
«Basta leggere la cronaca giudiziaria e non solo per capire i ruoli e le dinamiche che abbiamo determinato in questa realtà. Tra l’altro il luogo dove è avvenuto è simbolico: Siculiana. Il segnale arriva in un momento di relativa calma estiva, periodo nel quale è più facile che un atto intimidatorio passi inosservato all’opinione pubblica e non solo...».

Cosa vuol dire «non solo»?
«Abbiamo tutto scritto nella denuncia. Oltre - comprenderà - non posso andare. Il tentato atto intimidatorio ovviamente produrrà altri effetti contro i mafiosi, per quanto ci riguarda. Da tempo abbiamo intrapreso una strada irreversibile: ci siamo affidati allo Stato ed ai suoi uomini. Costi quel che costi. Comprendiamo di avere un conto aperto con i mafiosi: sappiano però tutti che non c’è alcuno spazio per tornare indietro o mediare».

Giuseppe Catanzaro, presidente di Confindustria della provincia di Agrigento, da due anni è anche il vice di Ivan Lo Bello. Imprenditore con interessi anche internazionali è nativo, come la sua famiglia, di Siculiana. La sede centrale dell’azienda da alcuni anni si è, però, trasferita ad Agrigento.
Portano la firma di Giuseppe Catanzaro le denunce che hanno portato in carcere estortori e mafiosi vicini al boss Gerlandino Messina, arrestato nell’ottobre scorso a Favara dopo oltre dieci anni di latantanza.
Il blitz «Marna» scattò, tra Siculiana, Realmonte, P. Empedocle ed Agrigento, nell’ottobre del 2007. Appena un mese prima, il 15 settembre, un incendio aveva danneggiato le pareti esterne dell’impianto di trattamento rifiuti che l’impresa Catanzaro ha realizzato nella zona industriale di Agrigento. Era l’avvertimento «inutile» all’imprenditore che, stanco di pagare, si era rivolto allo Stato e denunciato il racket. Un anno dopo, l'11 ottobre 2008, una guardia giurata ha trovato sul muro di recinzione dell’ azienda una teca in vetro con una croce su un piano di velluto rosso e dei fili elettrici. Come se si trattasse di un ordigno, finto come finto doveva apparire l’incendio si ieri notte.
Da anni nel mirino, Giuseppe Catanzaro non ha mai arretrato di un passo, sul suo esempio hanno rotto il muro di omertà altri imprenditori agrigentini.
«Noi - dice Giuseppe Catanzaro - siamo per il libero mercato. Libero dall’oppressione mafiosa che finora ha mantenuto il nostro territorio in uno stato di sottosviluppo. E noi non arretreremo di un passo. Costi quel che costi».

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