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Strage di via D'Amelio: Palermo diserta la marcia delle Agende Rosse

Non più di cento persone oggi al corteo. Pochissimi i cittadini del capoluogo, più persone da Bari, Milano, Roma e Firenze. Salvatore Borsellino: "La strage che uccise mio fratello fu di Stato"

PALERMO. Ad aprire il piccolo corteo - non più di 100 persone in tutto - è un grosso cartello con scritto "Mangano e Dell'Utri a voi. Borsellino e Falcone sono i nostri eroi". Dietro, i giovani delle Agende Rosse, appena partiti da via D'Amelio, luogo della strage costata la vita al giudice Paolo Borsellino e alla sua scorta, di cui martedì ricorre il 19esimo anniversario.   Raggiungeranno il Castello Utveggio, luogo assurto a simbolo dei tanti misteri ancora aperti sull'eccidio ed ex centro di ascolto dei Servizi Segreti, in una faticosa scarpinata lungo il Monte Pellegrino. In mano tengono delle agende rosse, emblema anche questo di una verità ancora tutta da scoprire, in ricordo del diario in cui il magistrato appuntava pensieri e scoperte investigative, sparito dal luogo dell'attentato.  


I palermitani sono pochissimi, poco più di una decina, perché il popolo delle Agende Rosse presente alla prima delle manifestazioni organizzate per l'anniversario della strage, oggi é fatto prevalentemente di persone venute da fuori: Bari, Milano, Roma, Firenze.   "Questa è una città che dimentica tutto, una città senza speranza", dice Enza, funzionaria regionale di Palermo che ogni anno è in via D'Amelio a ricordare il magistrato e gli agenti morti.   Cerca di sdrammatizzare, invece, Salvatore Borsellino, fratello del magistrato che ha costituito il movimento delle Agende Rosse. "Evidentemente - dice - i palermitani non se la sentono più di fare una simile scarpinata con questo caldo, come facevamo noi da giovani. Diciamo che questa marcia è solo per 'resistenti doc'".   Ma non tutti pensano che sia solo un problema di fatica fisica. "E' che questa - commenta la funzionaria regionale - è una città spenta, che ha rinunciato a lottare. Figuriamoci se ha interesse a ricordare" .


Poi Salvatore Borsellino ha parlato anche dell’uccisione del fratello Paolo: “E' stata una strage di Stato"   Lo ripete da anni e torna a ribadirlo anche oggi proprio da via D'Amelio, luogo dell'eccidio. "L'agenda rossa su cui Paolo appuntava tutto e che teneva sempre con sé - spiega - è la chiave di volta di tutto. Chi ha ucciso mio fratello sapeva che l'aveva con sé e la voleva perché poteva essere uno strumento rivelatore di quei ricatti incrociati che hanno retto gli equilibri di questa disgraziatissima seconda repubblica".

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