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Ciancimino: il puparo è l'autista del generale Paolantoni

Così il figlio di Don Vito, al processo Mori, parla del presunto uomo che gli avrebbe consegnato i documenti da dare ai pm. "Mi disse che le vittime della trattativa erano mio padre e Mori"

PALERMO. «Sono stato avvicinato da questo personaggio, in modo molto amichevole, che mi ha detto di avere ricevuto copia del manoscritto di mio padre “Le mafie”, accompagnato da una documentazione per dimostrare la persecuzione giudiziaria che attuavano Giovanni Falcone e Gianni De Gennaro. Mi disse che la vittime della trattativa erano state mio padre e il generale Mori e che la trattativa era stata orchestrata da altri personaggi come Amato e Mancino».
Così Massimo Ciancimino, al processo al generale Mario Mori, parla del presunto "puparo", il personaggio che gli avrebbe consegnato documenti dicendo di darli ai pm. «Si è presentato - ha proseguito - come autista del generale dei carabinieri Paolantoni, una persona che conoscevo bene, veniva spesso a casa mia. Eravamo alla presentazione del mio libro "Don Vito" allo Steri, l'anno scorso. Mi disse che aveva del materiale, e in quel caso mi consegnò quattro fogli, che mi potevano aiutare se avessi voluto scrivere il seguito del libro. Mi ha detto anche che mio padre gli aveva fornito tutta questa documentazione, che lui chiamava «il pepé, per rendere più appetibile l'eventuale pubblicazione del libro “Le Mafie”». «Dopo che lo vidi a Palermo lo incontrai altre tre volte a Bologna - ha detto - Mi diede sempre documenti importanti, erano tutti manoscritti di mio padre. Ogni volta mi diceva di darli all'autorità ai magistrati e così io facevo. Poi lui si informava se io li avessi davvero consegnati ai pm. Questo personaggio non voleva entrare nella vicenda».
Il “puparo” avrebbe anche suggerito a Ciancimino di non parlare più di Mori. «Lui è una vittima della trattativa come tuo padre, mi disse - ha raccontato il figlio dell'ex sindaco - porta le carte ai magistrati. Poi mi promise che mi avrebbe dato una lettera autentica di De Gennaro a mio padre che avrebbe dimostrato il tentativo dell'ex capo della polizia di delegittimarlo. In più mi avvertì che si stava muovendo qualcosa contro di me, che era stato dato ordine di farmi fuori e in maniera esemplare. Questo “mister x” mi disse di lasciare Palermo, di andare via. Di questi fatti ne parlai con i giornalisti Francesco La Licata e Franco Viviano». «Dopo qualche settimana dall'ultimo incontro - ha proseguito - che fu a febbraio, mi è arrivato un pacco con quaranta candelotti di dinamite. Io mi sono spaventato e ho portato la mia famiglia prima al festival di giornalismo a Perugia e sarei voluto andare in Francia per Pasqua ma poi mi avete arrestato».

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