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Caso Vitrano, si allarga l'inchiesta: spunta una dirigente incorrutibile

Spuntano altre società di Ingrassia. Nei verbali si parla di autorizzazioni più celeri. Da un conto a Lugano tangenti per 1 milioni e 600 mila euro. "Soldi a palate con un investimento di soli 20 mila euro". Il caso del funzionario spostato d'ufficio perchè troppo onesto

PALERMO. L’investimento, in fondo, non era neanche tanto impegnativo. Con diecimila euro di capitale iniziale e un «amico influente» nei palazzi del potere si potevano fare miracoli, soldi a palate, milioni su milioni. Per i quali non erano necessari neanche tanti sforzi. Basta citare l’esempio Enerplus ed Enerplus 2010, le prime «scommesse» di Piergiorgio Ingrassia, società a responsabilità limitata — create nel 2008 e nel 2010 e specializzate nel settore dell’energia pulita — che grazie all’«interessamento di Gaspare Vitrano» hanno incrementato il loro valore in maniera esponenziale fino ad essere vendute per la cifra record di oltre sei milioni di euro.


Un’enormità, soprattutto se si considera che nell’affare erano inserite solo concessioni. «Solitamente — ha spiegato l’ingegnere di Misilmeri in uno dei suoi ultimi interrogatori (ne ha già resi tre, riempiendo alcune centinaia di pagine, e sarà riascoltato a breve) — per ogni impianto ci vogliono 23 autorizzazioni e almeno un paio d’anni». Grazie al deputato regionale del Pd, ha detto ancora Ingrassia, le pratiche correvano, gli uffici e i dirigenti filavano quasi fossero in Trentino e i permessi arrivavano quasi in tempo reale.



Il trucco era proprio questo: eliminare gli ostacoli della burocrazia. Ma, al di là delle cifre, ciò che fa più impressione è il sospetto che quello descritto dall’ingegnere, che è assistito dall’avvocato Ugo Castagna, non sia un caso isolato, la classica eccezione, ma la regola. Ne sono convinti anche in Procura, dove da alcune settimane è stato istituito un pool di lavoro coordinato dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci e dai sostituti Maurizio Agnello, Sergio Demontis ed Emanuele Ravaglioli: all’attività sviluppata dalla Squadra mobile al momento dell’arresto in flagranza di Vitrano e Ingrassia, bloccati l’11 marzo scorso con una tangente da diecimila euro, è stata affiancata un’indagine della guardia di finanza, che da tempo aveva puntato i riflettori sul mondo del fotovoltaico.
Presto l’inchiesta potrebbe arricchirsi di nuovi nomi. Non solo politici, ma anche dirigenti e funzionari compiacenti.


Lo stesso Ingrassia, che sabato ha ottenuto i domiciliari, ha parlato a lungo di altre quattro società, alcune di queste formate con prestanome di Vitrano: «Io — ha spiegato ai magistrati — ero vittima di un sistema che mi stava stritolando. Avevo detto più volte a mia moglie che volevo denunciare tutto. Perché quella a cui ero sottoposto era una vessazione doppia: prima per i soldi che ho dovuto versare dalla società, successivamente con l’imposizione delle ditte. Ultimamente avevo pure cercato di uscirne, provavo a prendere tempo, ad abbozzare scuse... Ma loro erano voracissimi. Proponevano sempre terreni dove realizzare nuovi impianti. E io a volte dicevo che in quel luogo c’erano problemi di natura geologica, o altri impedimenti...».



Quando invece i progetti venivano approvati l’ingegnere — almeno secondo il suo racconto — doveva poi provvedere a «oleare» il sistema: «Nella mia posizione di direttore dei lavori — ha detto ancora Ingrassia — avevo la possibilità di scegliere le ditte. E quando non mi venivano “segnalate” direttamente dai politici, dovevo cercare sempre persone disposte a pagare». Il tariffario, come ha spiegato in uno dei primi interrogatori, era di diecimila euro a megawatt. Anche con l’imprenditore che li ha attirati in trappola, che aveva cantieri a Roccamena e Francofonte, era stata concordata la stessa cifra, ma ai 70 mila iniziali era stato applicato uno sconto di ventimila euro. I soldi, soprattutto quelli delle tangenti, viaggiavano poi sull’asse Palermo-Lugano, dove era stato conservato il grosso del capitale. E dove sarebbero state prelevate tangenti per un milione e 600 mila euro, consegnati — secondo Ingrassia — sia a Vitrano che ad altri politici.

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