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Così lo Zen ha salutato Ambra

Rabbia e commozione nel quartiere palermitano che ha dato l’addio alla sedicenne morta in un incidente stradale. Un corteo infinito ha accompagnato la bara verso la chiesa di San Filippo Neri

PALERMO. Non c’era bisogno di aspettare la pioggia per piangere, ieri allo Zen. Tutti i volti erano rigati di lacrime vere, autentiche, infinite. Anche il cielo, a tratti, si è adeguato all’umore di chi era presente al funerale di Ambra Crucillà, 16 anni, morta la notte di giovedì scorso in un terribile incidente stradale in viale Regione Siciliana, sesta vittima in quaranta giorni nel cuore delle vie palermitane, che ormai è diventato un vero e proprio simbolo di morte. L’ultimo viaggio di questa ragazza ancora bambina ma che voleva diventare subito grande è stata quasi una festa regalata dal grande, immenso affetto dello Zen, ricordato quasi esclusivamente per fatti di cronaca nera che rispecchiano solo una parte della sua realtà.
L'altro lato del cielo di questo quartiere di periferia è fatto anche di slanci di comprensione e di pietà sia per chi non c’è più, come nel caso di Ambra, sia per chi deve piangere la sua scomparsa, come i genitori, parenti e amici. Da queste parti il funerale non è soltanto una pratica, una formalità religiosa da sbrigare, da fare in fretta e furia, da dimenticare in fretta, ma è un ricordo, seppur incredibilmente doloroso. Un dono a chi è rimasto in vita, che penserà sempre a quel corpo minuto nemmeno maggiorenne chiuso dentro quella bara bianca, ma chiudendo gli occhi non rimarrà solo questo, ma anche altro. Ci saranno i palloncini colorati ad ogni passo, quasi fosse un luna park, che volano in cielo, dispersi e confusi guardano tutti dall'alto in basso. Ci saranno le magliette, una settantina, indossata dagli amici di Ambra come Elena e Luana, che per giorni hanno fatto avanti e indietro da casa sua a quella della compagna di una vita, seppur breve, che non c’è più. Sabato Elena e Luana sono andate a comprare un pupazzone enorme di Hello Kitty per donarlo all’amica, come se avesse voluto esaudire l’ultimo desiderio prima di separarsi per sempre, loro che erano inseparabili. «Andiamo a prenderlo per la vita nostra», avevano detto poche ore dopo la tragedia. Quel peluche dorme ora insieme ad Ambra: un modo per non lasciarla sola. Dietro quella bara bianca ci sono anche loro, Elena e Luana, insieme a tutto un quartiere, che vede scendere i resti mortali della ragazzina da una finestra della sua casa di via Agesia di Siracusa.
Un movimento lento, lentissimo del macchinario per un tempo che sembra interminabile. Le grida disperate di una madre quando Ambra lascia, per l’ultima volta, le mura dove è cresciuta e vissuta per poco tempo. «Figlia mia, figlia mia, non te ne andare». Poi il corteo, lungo e infinito con una vera e propria marea di persone al seguito, verso la chiesa di San Filippo Neri. Davanti la bara una gigantografia della ragazza, portata dagli amici del cuore. Ad ogni passo un ricordo, un episodio, un aneddoto sulla vita di Ambra: ricordi che si susseguono ora gioiosi, ora tristi. I pomeriggi del sabato insieme sull’autobus per andare in centro, la sua passione per internet e per la musica, i suoi primi amori, la sua comitiva, le foto pubblicate su Facebook, dove aveva tanti profili, quel viso che era ancora da bambina ma che stava per diventare da donna, la sua ultima, tragica uscita insieme agli amici per mangiare una crepes. «Ci aveva detto che usciva e che tornava subito, non la vedremo mai più, più…», dicono come in un lamento i ragazzi accanto la bara. La chiesa di San Filippo è troppo piccola per contenere insieme tutte quelle persone. Antonio, il papà di Ambra, ha la forza di ringraziare tutti quanti per il sostegno: guarda la bara come stesse guardando la sua bambina ancora viva. Scoppia un ultimo applauso, e poi Ambra se ne va, sempre in mezzo ai palloncini colorati e a quelle magliette con il suo viso sorridente e con la scritta «rimarrai sempre nei nostri cuori». Dopo il funerale si sono ritrovati tutti quanti in viale Regione Siciliana, sul luogo della tragedia, per lasciare oggetti e fotografie come ricordo. Un’altra lapide, un’altra vita spezzata da ricordare, come se ce ne fosse bisogno, come se la morte avesse deciso di prendere dimora in questa strada, diventata ormai quasi un sinonimo di cimitero.

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