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Lampedusa, storie di "viaggi della speranza"

Fuggire dalla bolgia del Maghreb costa mille euro e i soldi vanno "al proprietario della barca". Così raccontano i migliaia di clandestini che sfidano il mare e la paura pur di arrivare in Italia. "Siamo tanti, ma non siamo dei numeri" dicono

LAMPEDUSA. Costa duemila dinari tunisini, mille euro, fuggire dalla bolgia del Maghreb.     
Sami Bennour, che aspetta di essere imbarcato per Porto Empedocle sulla motonave Palladio, Saleh Jouda, ospitato alla Casa Fraternità e Ahmed Bouzuumita, seduto sotto una pianta all'aeroporto di Lampedusa non si conoscono e sono arrivati sull'isola in tempi e con barconi diversi, ma il prezzo è stato lo stesso. Tariffa fissa, almeno per loro.    
E a chi vanno quei soldi? "Al proprietario della barca", risponde Ahmed, 45 anni, il più vecchio. "Lui resta in Tunisia, non gli importa di perdere quella carretta. Con i soldi che guadagna se ne compra una nuova: noi eravamo più di 80". E chi la manovra, la barca? "Siamo gente di mare. A bordo, tra tante persone, c'é sempre qualcuno capace di farlo".
La mettono facile i tunisini di Lampedusa. Per loro non è la criminalità a organizzare gli sbarchi, ma si tratta di un business privato dei proprietari dei pescherecci, e tra loro non ci sono terroristi o delinquenti evasi dal carcere: "siamo scappati perché il nostro paese è nel caos, non si può più lavorare. Non siamo terroristi, l'Islam non è terrorismo", spiega ancora Ahmed, che lavorava come muratore nella vita che ha appena lasciato.    
Saleh, ventiduenne di Zarzis, uno dei porti tunisini da dove é partita questa nuova ondata di sbarchi, assicura che "non sono più tanti, ormai, quelli in lista d'attesa per venire in Italia. Chi voleva farlo ormai l'ha già fatto", assicura, anche se le notizie di altri dieci barconi in arrivo lo smentiscono in presa diretta.    
Come funziona? "Basta pagare", ammettono un po' tutti. C'é chi dice di aver organizzato il viaggio da un mese, chi da un paio di settimane. Il mare calmo ha favorito la traversata, la cui durata è varibile: "da un minimo di 20 ore ad un massimo di 48, a secondo del tipo di barca".    
Sami, 30 anni, di Kebili, è uno dei tanti - sono 200 -  incolonnati sulla banchina del porto in attesa di salire a bordo del traghetto Palladio. "Siamo tanti, ma non siamo dei numeri, Ognuno di noi ha una storia diversa", ci tiene a dire questo trentenne infagottato in un giaccone troppo grande di finta pelle. Questa è la sua, di storia. La storia di Sami. "E' difficile, di questi tempi vivere in Tunisia. Lavoravo come meccanico sui pescherecci, poi il peschereccio è stato venduto. Questo è successo qualche settimana fa e io ho deciso di andarmene. Non ho una moglie, non ho figli, e forse questo ha reso tutto più facile. Però ero convinto, magari l'avrei fatto lo stesso. Avevo da parte qualche dinaro, un po' me li sono fatti prestare. Sono partito venerdì sera ed ora eccomi qua".    
Com'é andato il viaggio? "Lungo, ma non ci sono stati problemi". E adesso che cosa pensi di fare? "Starò via tre, quattro, cinque anni. In Italia, in Svizzera, in Germania, in Francia, dovunque, non importa. Poi tornerò", dice Sami. "Per adesso ho tre obiettivi, solo quelli". Li elenca nell'ordine: "un posto dove dormire, lavoro, denaro". 

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