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"Non rispettavano le regole": forse la mafia dietro due omicidi

A cinque anni dal primo delitto svolta nelle indagini. Gli agguati tra Caccamo e Bagheria

PALERMO. Il primo, un pregiudicato di Trabia col pallino per le estorsioni fai-da-te, venne ucciso con tre colpi di pistola alla nuca, chiuso nel portabagagli di un’auto e poi gettato nella campagne di Caccamo. L’altro, un bracciante di Bagheria con piccoli precedenti per furto, quando capì che era arrivata la sua ora provò a scappare a piedi, tentò in tutti i modi di sottrarsi alla furia dei killer, ma alla fine venne raggiunto e ammazzato sulla strada che collega Ficarazzi a Bagheria. Anche lui con tre colpi di pistola. L’unico che riuscì a salvarsi fu il vecchio boss di Bagheria Pietro Lo Iacono — un pezzo da novanta di Cosa nostra, vicino e anche nel cuore di Bernardo Provenzano — sfuggito all’agguato solo per una coincidenza. E più precisamente perché qualcuno (in questo caso gli investigatori della Squadra mobile) stava intercettando uno dei suoi sicari ed entrò in azione prima che il progetto arrivasse alla sua fase conclusiva.
Oggi, a cinque anni dal primo delitto, le indagini su quella stagione di fuoco sembrano essere arrivate a una svolta. Grazie alla comparazione di alcune tracce biologiche e balistiche rilevate nei primi due omicidi, i carabinieri della compagnia di Bagheria avrebbero trovato infatti più di un collegamento fra i tre episodi. Un filo sottile che conduce direttamente a una delle fasi più instabili di Cosa nostra, al periodo — per intenderci — in cui i boss lavoravano alla ricostituzione della commissione provinciale e che gli investigatori stroncarono un paio di anni fa con l’operazione Perseo. 
La novità emerge alla vigilia di una nuova udienza (prevista giovedì) del processo di appello che si celebra davanti alla prima sezione penale presieduta da Giancarlo Trizzino e che vede imputati per associazione mafiosa Andrea Fortunato Carbone, Michele Modica (entrambi di Casteldaccia) e il caccamese Emanuele Cecala. I tre furono arrestati il 4 luglio del 2008 perché intercettati mentre organizzavano l’omicidio di Pietro Lo Iacono, in quei giorni a spasso a Santa Flavia per un vizio nelle intercettazioni che gli aveva permesso di guadagnare la libertà. I sicari si preparavano da tempo, volevano sorprendere il boss in un momento di debolezza, e cioè mentre era al mare, senza armi né uomini di scorta. 
Partendo dagli elementi raccolti in quell’episodio e dalle indagini legate all’operazione Perseo, gli investigatori stanno adesso cercando di far luce su una serie di fatti di sangue, tra cui gli omicidi di Antonio Canu e Giovanni Quartararo. Il primo venne rinvenuto cadavere il 28 gennaio 2006 a Caccamo. Secondo Nino Giuffrè, ex braccio destro di Provenzano, Canu aveva tentato di chiedere il pizzo senza autorizzazione, e dunque (sono le parole usate dal pentito) «rubava in casa di uomini che non si dovevano toccare». Diversa la storia di Quartararo, 28 anni, nato a Palermo ma residente a Bagheria, qualche piccolo precedente per furto, raggiunto e ucciso la sera del 17 settembre 2006 mentre viaggiava a bordo della sua auto, su un tratto di strada che da Ficarazzi conduce a Bagheria. Esattamente un anno prima Quartararo era stato sorpreso e arrestato dai carabinieri per avere rubato degli attrezzi agricoli in un casolare di Finale di Pollina. Con lui c’era pure tale Nicasio Salerno, anche lui piccoli precedenti per furto e pure lui condannato a morte dal tribunale di Cosa nostra. Solo che l’«esecutore» della sentenza fallì miseramente svuotando un intero caricatore fuori bersaglio. 
Dietro a questi delitti, secondo gli investigatori, potrebbe esserci un’unica regia ma anche un solo gruppo di fuoco, capace di agire con efficienza e rapidità. Il movente potrebbe essere invece legato alla necessità di mettere ordine nel mandamento, soffocare qualsiasi iniziativa personale e di punire col sangue i cani sciolti. Del resto, come diceva un boss del calibro di Giuseppe Bisesi, reggente della cosca di Termini, «il problema dei ladri c’è stato sempre... non solo qua... Ma ora con quest’indulto che hanno dato siamo rovinati!».

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