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Palermo, presi favoreggiatori del boss Raccuglia

Operazione della squadra mobile di Palermo e dello Sco. Ordinanze di custodia cautelare per sette persone che sono accusati di aver fornito aiuto al capomafia latitante

PALERMO. Per mesi, tra mille cautele, nomi in codice, falsi appuntamenti e ingegnosi tentativi di depistare gli inquirenti, hanno gestito la fitta corrispondenza dell'allora latitante Mimmo Raccuglia, boss di Altofonte, erede dell'ala stragista dei corleonesi. In un continuo su e giù per la statale che collega Palermo a Sciacca hanno portato a destinazione i "pizzini" del capomafia consentendogli di tenere i rapporti con gli uomini della cosca e, dunque, di mantenere il potere. Una funzione irrinunciabile in ogni latitanza quella dei "postini" che oggi sono stati arrestati dagli agenti della Mobile e dello Sco.   L'operazione, che ricostruisce la rete delle comunicazioni di Raccuglia, svela anche i retroscena della cattura del capomafia, preso, il 13 novembre scorso, proprio seguendo i movimenti dei suoi uomini. In cella sono finite sette persone - sei incensurate -, tutte accusate di associazione mafiosa. E di mafia rispondono anche i sei presunti esponenti del clan di Enna, arrestati dalla polizia nell'ambito di un'inchiesta sulla cosca del boss Salvatore Seminara.    Uno di loro, Angelo Maria Gloria, imprenditore edile, secondo gli inquirenti, avrebbe svolto il ruolo di intermediario tra esponenti mafiosi di primo piano ed una ditta che effettuava lavori edili a Piazza Armerina, nella Villa Romana del Casale, alla quale doveva essere imposta l'assunzione di un uomo d'onore, anche lui tra gli arrestati, e la scelta dei fornitori. La cosca, inoltre, gestiva case da gioco clandestine - una realizzata in un agriturismo - e appalti pubblici. Della sola gestione della latitanza di Raccuglia si occupavano, invece, i sette arrestati a Palermo. La loro individuazione è frutto di un'intuizione della polizia e di un paziente lavoro investigativo fatto di intercettazioni, pedinamenti e appostamenti. Gli inquirenti hanno concentrato l'attenzione su un personaggio chiave: Mario Tafuri, titolare di una ditta di costruzioni ad Altofonte e figlio di un capomafia storico della zona. Anche grazie alle indicazioni di alcuni pentiti gli investigatori hanno ritenuto che potesse avere contatti con Raccuglia. Seguendolo, intercettandolo e tenendolo costantemente sotto controllo gli agenti ne hanno individuato il ruolo e sono risaliti ai complici che lo aiutavano nella delicata attività di smistamento dei bigliettini indirizzati e provenienti da Raccuglia. Da Tafuri, con un complicato e cauto sistema organizzativo, i biglietti passavano a Giuseppe Campanella, dipendente del comune di Salaparuta, anche lui arrestato. I sacchi con la corrispondenza, a volte lanciati da un cavalcavia, facevano su e giù lungo la strada Palermo-Sciacca passando nelle mani di altri personaggi come Girolamo Liotta e giungevano, dopo un lunghissimo giro, al capomafia. Seguendo la "posta" la polizia è arrivata al covo di Raccuglia, che si nascondeva, grazie ai suoi buoni rapporti col latitante Matteo Messina Denaro, a Calatafimi, in provincia di Trapani.

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