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"Tsipras la smetta con il populismo ma l'Europa ora vari un piano di aiuti"

Il risultato del referendum, pur conclusosi con la vittoria del «no», non ha affatto rafforzato la posizione negoziale di Atene

A differenza di quanto sostengono i vari demagoghi nostrani, da Vendola a Grillo, l’unica cosa certa è che il risultato del referendum, pur conclusosi con la vittoria schiacciante del «no», non abbia affatto rafforzato la posizione negoziale di Tsipras. Al contrario, per ottenere il prestito ponte chiesto ai creditori un giorno prima del referendum e una nuova iniezione di liquidità per permettere alle banche di riaprire gli sportelli, Tsipras dovrà cedere su tutti i punti controversi, ben oltre quel compromesso che si sarebbe potuto raggiungere se la chiamata del popolo greco all’orgoglio nazionalista non fosse avvenuta. Le dimissioni di Varoufakis e la convocazione di tutti i leader dei partiti da parte del presidente della Repubblica greco per una riunione di emergenza stanno a significare che Tsipras dovrà trattare con gli altri leader europei e con la Bce non più un piano di aiuti in cambio delle riforme, ma la stessa permanenza della Grecia nell’euro.

Tsipras ne è perfettamente consapevole e in queste ore sta cercando alleati nei leader che gli sono apparentemente più vicini, Hollande in testa, per riprendere un dialogo che l’intrasingenza tedesca potrebbe rendere a questo punto impossibile. Impossibile perchè se si ragiona con freddezza su quanto è accaduto, ci si accorge che la vicenda greca è destinata ad essere lo spartiacque di due scenari divergenti, ben più complessi di quelli semplicisticamente riconducibili alla contrapposizione tra rigore e crescita. Il primo scenario si riassume nel concetto secondo il quale i paesi dell’area euro possono convivere con un’unica moneta soltanto se condividono le regole che permettono a quella stessa moneta di non subire i contraccolpi di squilibri strutturali permanenti.

In sostanza debbono condividere non soltanto le regole che riguardano la finanza pubblica ma anche quelle, ancor più importanti ,che disciplinano il mercato del lavoro, le pensioni, il fisco e la giustizia. Non c’è contraddizione tra rigore e crescita in quanto la stabilità della moneta è il presupposto indispensabile perchè le politiche economiche espansive abbiano successo e si traducano davvero nella crescita degli investimenti, dell’occupazione e del reddito. Questa convinzione è talmente radicata nell’opinione pubblica dei paesi più forti dell’area euro che i leader conservatori e progressisti di Germania e Francia, al pari di quelli degli altri partner nordici confinanti, non hanno la ben che minima intenzione di discostarsene. Al contrario Germania e Francia, come ben si vede dal comportamento di Hollande e Merkel nel corso della lunga trattativa con i greci, agiscono sempre d’intesa e hanno in mente di costruire un’Europa più ristretta e più coesa che può correre più velocemente verso l’integrazione politica senza il fardello (bontà loro) dei paesi più critici, come quelli del Sud Europa, che non sono in grado di fare le riforme.

Renzi ha compreso perfettamente le reali intenzioni della Merkel e di Hollande e si è ben guardato dall’offrire la ben che minima sponda a Tsipras per evitare di affiancare l’Italia al «sentiment» che l’opinione pubblica centro e nord europea ha verso la Grecia. Considerati gli attuali rapporti di forza nell’area euro, il risultato del referendum greco è, piaccia o no, come il cacio sui maccheroni per i dirigenti tedeschi che hanno in mano un formidabile argomento per cacciare la Grecia dall’euro. Nel secondo scenario Tsipras dimostra di aver capito perfettamente quali sono i reali rapporti di forza in Europa e accetta le proposte dei creditori, anche quelle sulle quali ha vinto il referendum. Dalla sua parte ha però un ragionamento molto semplice che riguarda l’impossibiltà della Grecia di ripagare il debito senza una crescita economica assai più sostenuta di quella ipotizzabile nelle attuali condizioni.

La solidarietà che egli può chiedere all’Europa e che neanche la Germania può negargli può consistere nell’impegno dei paesi europei a realizzare una sorta di piano Marshall per la Grecia con investimenti di reciproco interesse e con il sostegno di regole sul lavoro non dissimili da quelle del job act di Renzi. La Merkel si troverebbe di fronte ad un ragionamento inconfutabile anche e forse soprattutto nell’interesse dei creditori. Tsipras non avrebbe più alcun motivo per dare ascolto alle sirene di Putin. Gli americani sarebbero meno preoccupati di quanto non siano oggi per una deriva greca dopo quella turca nel quadro della Nato. I populisti europei, con in testa quelli italiani, potrebbero finalmente avere meno ragioni per infastidirci con i loro slogan cretini quanto pericolosi. Sarebbe un sia pure tardivo, troppo tardivo, avvento della ragionevolezza.

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