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Gaetano Miccichè: «La Sicilia punti su turismo e agroalimentare»

Il direttore generale di Intesa San Paolo: «Nell'Isola mancano soprattutto gli investimenti esteri. E la burocrazia deve essere amica delle imprese»

PALERMO. «Se io fossi il Presidente della Regione prenderei la valigia e andrei in giro acercare capitali italiani e stranieri interessati a investire in Sicilia». Gaetano Miccichè direttore generale di Intesa Sanpaolo con la responsabilità per il settore corporate e investment banking è stato a Palermo nei giorni scorsi per una convention della sua divisione. È stata anche l' occasione per tornare a casa («Cosa che non accade con la frequenza che mi piacerebbe»). È andato via più di trent' anni fa sfruttando l' esperienza che aveva maturato alla Cassa di Risparmio e il Master in Bocconi (successivamente il Masters of Masters conferito dalla Scuola di direzione aziendale dell' università milanese). A Milano è stato amministratore delegato di numerose aziende, curandone spesso il risanamento e il rilancio così da contribuire al salvataggio di moltissimi posti di lavoro. È in Intesa Sanpaolo dal 2002 dove ha ricoperto anche la carica di amministratore delegato di Banca Imi, la più importante banca d' affari italiana (di cui ha conservato la presidenza). Fa parte anche dei consigli di Prada e Pirelli.

Un presidente di Regione che gira il mondo per promuovere gli investimenti in Sicilia non c'è mai stato. Che cosa dovrebbe contenere la sua valigia?
«Gli strumenti che servono a far crescere i settori di punta dell' economia siciliana: il turismo e la filiera agro -alimentare. Alberghi come Villa Igiea, il San Domenico, Le Palme sono gioielli unici al mondo. È davvero incredibile che non ci sia la corsa per sostituire la vecchia proprietà con un gruppo finanziariamente forte in grado di imprimere un salto di qualità all'industria del turismo. Villa Igiea ha una location impareggiabile: Monte Pellegrino, il mare, le isole all'orizzonte. Le grandi multinazionali del settore dovrebbero fare a gara per averlo in portafoglio».

Invece non succede. Qual è il problema?
«L'imprenditore che investe deve avere la certezza di poter completare i suoi progetti nei tempi e nei modi che ha previsto. La priorità assoluta è questa: una burocrazia amica dell' impresa. Le assicuro che un sistema di regole chiaro ed immediatamente esigibile vale molto di più di qualunque contributo pubblico».

C'è anche la criminalità che ostacola gli investimenti. Perché la considera così poco?

«Perché credo che ormai il suo ruolo sia stato fortemente ridimensionato, grazie all'opera di repressione di polizia e magistratura e al sostegno vigile e attivo della società civile. In ogni caso è proprio la mancanza di lavoro l'alimento più forte alla delinquenza. Gli investimenti produttivi servono a rompere il circolo vizioso: la disoccupazione favorisce la presenza delle organizzazioni criminali e, di conseguenza, a causa dell' eccessiva delinquenza è difficile creare le condizioni favorevoli all'occupazione. La Sicilia deve avere la capacità di uscire da questa spirale avvelenata».

Sembra facile.
«Certo che non è facile. Ma nemmeno impossibile. Prendiamo l' esempio del turismo. Spiegatemi una cosa: per quale ragione il viaggio da Milano alle isole Eolie può durare anche otto ore, durante le quali bisogna cambiare più volte mezzo di trasporto, spostarsi a piedi, portarsi dietro le valigie, sempre sperando che nel frattempo non siano andate perdute. A queste condizioni è meglio andare a Miami: il trasferimento dura lo stesso tempo, non devi cambiare».

Tutto questo per dire?
«Per dire che lo sviluppo del turismo passa sicuramente dal miglioramento delle infrastrutture: aeroporti, porti (soprattutto per diportisti), strade ma anche da cose più modeste: per esempio un coordinamento che permetta di arrivare da Berlino a Lipari in un tempo ragionevole, senza dover passare ore nelle sale d' attesa. Bisogna sfatare un antico modo di dire».

Quale?
«Quello per cui "quando vai al sud piangi due volte: la prima quando arrivi e la seconda quando parti". Palermo non fa eccezione: la prima volta c' è la tristezza per l' inefficienza, spesso la sporcizia, la carenza di servizi pubblici. Quando vai via invece sei conquistato dalla bellezza naturale e architettonica, dalla qualità del cibo, dalla disponibilità delle persone».

Finora ha parlato di quello che dovrebbero fare gli altri. Una grande banca come Intesa che cosa può fare?
«Il gruppo ha appena varato il Programma Filiere per il quale abbiamo messo a disposizione un plafond da cinque miliardi di euro, che può arrivare fino a quindici. Rappresenta un nuovo modello di collaborazione tra banca e impresa. Consiste nella nascita di contratti di filiera, tra aziende leader e i loro fornitori, per estendere a questi ultimi le stesse condizioni di rischio e di rating dei capifiliera. Abbiamo già individuato una novantina di aziende leader che a loro volta hanno indicato i fornitori cui estendere l' accordo. Per le imprese meridionali è una grande opportunità perché potranno godere delle stesse condizioni di credito delle imprese maggiori superando un dualismo che le ha sempre penalizzate».

La Sicilia com'è coinvolta in questa operazione?
«Per il momento c'è solo un'impresa che ha aderito al programma. Si tratta della Irem di Siracusa, che si occu pa di impiantistica. Il nostro obiettivo è quello di allargare la platea. Purtroppo non è facile, perché le aziende siciliane che hanno le caratteristiche per entrare in questo programma non sono molte. Puntiamo ad una crescita del business internazionale, non solo incrementando la base della clientela italiana, ma soprattutto intercettando nuove opportunità sui diversi mercati grazie all' espansione del network rappresentato dagli hub internazionali del gruppo: Hong Kong, Dubai, Londra e New York. Per le imprese, ormai, l' orizzonte non può limitarsi più all' Italia e nemmeno all' Europa. Devono avere la forza di ragionare in termini globali e il nostro Programma Filiere serve proprio a favorire questo processo».

Negli ultimi mesi il suo nome è comparso molto sui giornali per nuovi incarichi in altre grandi istituzioni finanziarie del Paese. Che cosa c' è di vero?
«Assolutamente nulla. Ho la grande fortuna di essere a contatto e poter lavorare tutti i giorni con le imprese italiane e internazionali più importanti del mondo e con i loro manager. E il fatto di aver lavorato per tanti anni nel mondo dell' industria mi consente di indossare più facilmente il doppio cappello di banchiere e di uomo d' azienda, così da poter cogliere al meglio le esigenze dei nostri clienti, nel loro interesse e in quello della nostra Banca».

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