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Massacri di minori da parte dell'Isis, Ansalone: «L’Onu intervenga»

Il docente di Geopolitica: finora troppo prudente la lotta al Califfato

PALERMO. «Il rapporto dell’Onu sui massacri di minori da parte dell’Isis, ahimè!, potrebbe finire nel dimenticatoio come tanti altri. Oppure, legittimare un intervento più ampio in Iraq e Siria fondato sul principio, ormai consolidato, della responsabilità di proteggere. E chi, più dei bambini, merita protezione?».

Docente di Geopolitica nella Sioi, la Società italiana per l’Organizzazione internazionale, Gianluca Ansalone ha scoperto ieri — lui, come tutti noi — un altro tassello di quel mosaico dell’orrore chiamato «Stato Islamico». Il dossier sui bimbi crocifissi, decapitati, sepolti vivi dai miliziani del «Califfato nero» meriterebbe risposte concrete, non solo sdegno: «Ma i veti nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ancora una volta, impediranno una risposta comune», avverte Ansalone.

Russia e Usa sempre più distanti, Consiglio di Sicurezza paralizzato: un regalo per califfi e signori della guerra, sparsi nel mondo?

«La Russia è preoccupata anche più di noi, specie perchè ben 800 ceceni combattono per l’Isis. Sono il terzo gruppo per consistenza, tra i volontari stranieri. La crisi in Ucraina, però, rischia di innescare una escalation pericolosa. Non esiste una soluzione militare a quel conflitto, ne usciremmo tutti sconfitti. L’Europa ha un ruolo cruciale nel promuovere il congelamento del conflitto e aprire la strada al dialogo».

Dopo la «videoesecuzione» del pilota giordano, bruciato vivo dai boia dell'Isis, il governo di Amman non esclude un intervento con truppe di terra. Inevitabile evoluzione della guerra in Iraq e Siria?

«È inevitabile immaginare un’offensiva militare contro l’Isis. Anzi, bisognerebbe chiedersi perché la risposta occidentale contro lo Stato islamico sia stata così prudente fino a questo momento. Siamo di fronte ad una minaccia nuova e ad una violenza senza precedenti. Non possiamo restare fermi di fronte a questa escalation».

Finora, Obama ha preferito lasciare a curdi e altri gruppi armati locali il ruolo di «boots on the ground», «stivali sul campo». E adesso?

«L’atteggiamento prudente degli Stati Uniti ha ragioni più profonde del solo calcolo costi-benefici di un intervento militare. La Casa Bianca ha cambiato strada più volte in questi anni già di fronte alle cosiddette “primavere arabe”. Qualche settimana fa, Obama ha ammesso di non avere una strategia sulla Siria e sul futuro del regime di Assad».

Edward Luttwak, in un'intervista al «Giornale di Sicilia», ha esclamato che gli occidentali devono smettere di intervenire nelle aree di crisi del mondo musulmano, lasciando che estremisti sunniti e sciiti si combattano tra loro. D'accordo?

«Solo in parte. Siamo sicuramente di fronte ad una epocale resa dei conti all’interno del mondo musulmano. Le due anime teologiche sunnite e sciite e i rispettivi campioni nazionali stanno combattendo, dalla Libia all’Iraq, una guerra per procura finalizzata a consolidare le rispettive aree di influenza. In questo contesto, approfittando anche della disintegrazione geografica delle frontiere in Medio Oriente, l’Isis trova terreno fertile per costituire un para-Stato armato».

Quindi?

«Non è la prima volta che la geografia prende la propria rivincita sulla storia e non è la prima volta che gli Stati si disintegrano. La differenza rispetto al passato è che oggi nessuno guida davvero il processo, nessuno ha la volontà e la capacità di imporre un indirizzo strategico. Non si tratta quindi di invocare un intervento americano o europeo ma di ridisegnare la governance globale per superare quello che Ian Bremmer definisce il G-0, il mondo di nessuno».

Lontano dai riflettori, un emirato jihadista s'è ormai radicato a Derna in Libia. Da Lampedusa, dista 972 chilometri. Troppo pochi per potere stare tranquilli in Sicilia, in Italia?

«È prioritario, oggi, impedire che si radichi una succursale del Califfato in Libia, cosa che renderebbe vano qualsiasi tentativo di riconciliazione nazionale e di apertura di un dialogo tra tribù e gruppi politici. La Libia, comunque, dovrebbe essere un’autentica ossessione nazionale per l’Italia. Se nelle prossime settimane l’iniziativa dell’ONU e del suo inviato Bernardino Leon dovesse fallire, come purtroppo appare probabile, l’Italia dovrà assumersi la responsabilità dell’azione in Libia, come peraltro ha opportunamente annunciato il premier Renzi».

Altra sigla ormai famigerata: Boko Haram. La Nigeria rischia di fare esplodere la polveriera-Africa?

«Nei suoi scritti, ritrovati a Baghdad e nel bunker di Abbottabad in Pakistan, Osama Bin Laden sosteneva che la guerra di civiltà avrebbe preso avvio in Nigeria, un Paese enorme diviso etnicamente e geograficamente tra cristiani e musulmani, oltre ad alcune componenti animiste. E’ il terreno di scontro ideale, dal punto di vista dei terroristi, per testare la capacità di instaurare un regime islamico duraturo».

E le organizzazioni degli Stati africani stanno a guardare...?

«Da sole non potranno fare granché. È la comunità internazionale che deve mettere in cima alla propria agenda la lotta al terrorismo e la stabilizzazione politica, economica e sociale delle aree più fragili del pianeta».

 

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