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Eni, Descalzi: non ce ne andiamo da Gela né licenziamo

MAPUTO (MOZAMBICO). Anziché trasmettere fiducia e tranquillità, le dichiarazioni dell'amministratore delegato dell'Eni Claudio Descalzi, dal Mozambico, hanno suscitato irritazione e sconcerto tra le organizzazioni sindacali e i lavoratori che da 15 giorni presidiano la raffineria di Gela. Nessuno si fida quando dichiara che "non abbiamo intenzione di andarcene da Gela né vogliamo toccare l'occupazione. Abbiamo intenzione di investire 2,1 miliardi in diversi progetti, tra i quali la trasformazione in raffineria verde per riconvertire il personale".
"L'hanno detto anche al governatore della Sicilia, Crocetta, e a noi - ricorda Sergio Gigli, segretario nazionale della Femca-Cisl - quando ci siamo incontrati a Roma, ma non sono più credibili perché si sono rimangiati un accordo firmato appena un anno fa, cancellando investimenti per 700 milioni di euro e 3.500 posti di lavoro tra diretto e indotto". "Ora ci dicono che quel piano non va più bene e che ne hanno un altro. Ma chi ci garantisce che sarà rispettato?". "Ci vuole il governo - puntualizza, Gigli - il presidente del consiglio che metta i timbri su eventuali, possibili, nuovi accordi, che si debbono fare con il concorso di tutti. A Porto Torres ha funzionato perché è andata così".
Dello stesso parere è Emilio Miceli, segretario nazionale dei lavoratori dell'energia, petrolio e gomme, aderenti alla Filctem-Cgil. "Bisogna ripartire dall'accordo del luglio 2013 - spiega - e non improvvisare, quasi tirando a sorte con i bussolotti, una strategia sulla raffinazione dettata da una fermata accidentale degli impianti". "De Scalzi ci spieghi perché mai in un'area dove arriva il gas libico, dove si estrae petrolio deve chiudere la raffineria e tagliare 3.500 posti di lavoro e come attraverso un investimento totalmente alternativo possa preservare il valore altamente strategico di quel territorio".
A Gela, c'è rabbia perché i lavoratori ritengono che il disimpegno sia stato già avviato da anni. "Ormai, per l'Italia, il Sud conta meno del terzo mondo - dicono i lavoratori - infatti l'Eni a Gela vuole chiudere la raffineria mentre va ad investire 50 miliardi in Mozambico".
L'azienda di Stato, invece, attraverso Descalzi e Sardo, conferma che è disponibile a "incrementare gli investimenti dai 700 milioni previsti a oltre due miliardi, in un progetto ampio che potrebbe coinvolgere altri settori, ad esempio l'esplorazione di idrocarburi, la raffinazione verde e anche un centro mondiale di formazione manageriale sulle tematiche di salute, sicurezza e ambiente". Ma per Maurizio Castania, segretario territoriale della Uilcer di Caltanissetta, "non bastano un impiantino e un centro di formazione per garantire la salvaguardia di 3500 posti di lavoro". Ed allora conferma che "il fronte di lotta non arretra di un millimetro: si sciopera e si manifesta il 28 luglio a Gela coi segretari nazionali Susanna Camusso (Cgil) e Paolo Pirani (Ultec-Uil), si sciopera in tutta l'Eni e si manifesta a Roma il 29, mentre i blocchi continuano".
Si muove anche il Pd di Gela che ha scritto al presidente del consiglio. "Caro Matteo Renzi, - scrivono dal Pd gelese - sappiamo della tua volontà di venire a Gela per la fine di agosto, ma il territorio necessita di un intervento immediato adesso, senza ulteriori rinvii. La gravità del momento ci impone di intervenire in fretta per arginare una situazione vicina al collasso" e "individuare ogni soluzione possibile in grado di tutelare il reddito dei lavoratori e salvaguardare il livello occupazionale messo a rischio da questa scelta scriteriata dell'Eni".

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