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Un Gigante fra tanti nani

Sergio Mattarella, un Gigante fra tanti nani

Niente telecamere o occhi indiscreti. Ma quella missione andata in scena nel primo pomeriggio di ieri possiamo facilmente ricostruirla, senza il rischio di sconfinare troppo nel mitologico. Un gruppetto di una dozzina di pulcini bagnati, mandati in avanscoperta dai loro scornati leader, a bussare al Palazzo. A chiedere udienza. Invocare un sacrificio. Supplicare un aiuto. E lui, Sergio da Palermo, il Presidente più amato, il Gigante delle istituzioni, a riceverli ed ascoltarli. Serafico e paziente. Austero e rigoroso. Per poi congedarli con un lapidario ma salvifico «Se serve ci sono». Frase destinata all’immortalità nei libri di storia della Repubblica italiana. E che ha sbloccato una rielezione a furor d'aula, certificando al contempo la debacle del nostro attuale malmesso sistema politico.

Mentre da Montecitorio arrivavano chiari ed eloquenti segnali ogni giorno più forti, generali e capipopolo si riunivano qua e là per azzardare teoremi improponibili, mescolare formule approssimative e impapocchiare candidature usa e getta. Fino a ieri mattina. Quando è stata dichiarata la resa.

Dunque si riparte esattamente da dove si era iniziato. Dalla coppia vincente Mattarella-Draghi. Ma ai faciloni qualunquisti tentati dalla banalizzazione gattopardesca, andrebbe spiegato che in questo caso il concetto va semmai ribaltato: non si è cambiato niente... per cambiare tutto. Perché tutto va cambiato. A cominciare magari dal sistema elettorale. O sta già cambiando. C'è ora un Draghi apparentemente più svincolato dai gioghi e dagli equilibrismi e dunque rafforzato nella gestione del governo da qui a fine legislatura. Sempre che i nani capiscano di dover prima rimettere insieme i propri cocci. Cosa non molto chiara a chi già ieri chiedeva impunemente incontri, verifiche, chiarimenti, scalpi e rese dei conti.

C'è un centrodestra che si è liquefatto e nel quale nelle prossime settimane si giocherà forse la partita più aspra per i nuovi assetti. C'è un centrosinistra che in una settimana non ha saputo esprimere lo straccio di una alternativa valida: troppo facile ora per Letta dire che «si è dimostrato che un campo largo esiste», sol perché Mattarella li ha tirati tutti fuori dal frullatore in cui si stavano sminuzzando. C'è una liquida area di centro senza bussole e senza patenti, che pende sempre là dove batte più forte il vento. Tutti (o quasi) hanno finito per rifugiarsi nel porto sicuro di un Mattarella a cui è stata fatta violenza istituzionale, ben al di là di materassi e scatoloni da riportare al loro posto. È probabile che lo stesso presidente, prima di accettare, abbia a lungo parlato con la figlia Laura, alla quale aveva promesso la libertà dalle gabbie del ruolo di discreta first lady di questo settennato.

I tormenti di un uomo di 80 anni dalla schiena dritta, a cui andava riconosciuto il sacrosanto diritto di essere stanco. «Avevo altri piani, ma sono a disposizione». Per colpa di un evidente fallimento politico. Che ha radici lontane. Da Mario Monti premier anti default, alla rielezione anti paralisi di Giorgio Napolitano al Colle; dall'allora sconosciuto Giuseppe Conte issato sul vascello di improbabili alleanze di governo, all'arrivo di Mario Draghi per ridare rotta e credibilità al Paese nelle secche della pandemia sanitaria ed economica. Fino al Mattarella bis. Ogni volta che la politica si accartoccia su se stessa, finisce per abdicare e chiedere aiuto a tecnici esterni o abbarbicarsi a Capi di Stato dei quali non sa trovare per tempo degni e validi sostituti. Neanche i più integralisti fra i padri costituenti erano arrivati a prevedere cotali estremi artifizi.

Va riconosciuta la coerenza di Giorgia Meloni, che dissociandosi dall'ecumenismo dell'ottavo scrutinio, parla di «anomalia istituzionale» e giudica «irrispettosa» la scelta di puntare su Mattarella come ultima ratio, quasi come un candidato di risulta. Ma dall'impasse, di cui anche lei è stata protagonista, bisognava comunque uscire. Lei comunque può sorridere: il candidato di bandiera Nordio è andato ben oltre il bottino di voti garantito dal contingente d’aula di FdI. E questo conterà non poco nella raccolta dei cocci del centrodestra. Da parte sua, bene fa Tajani a sottolineare che nessuno può osare chiedere a Mattarella di accollarsi un mandato a tempo. Il suo è un reincarico pieno, assoluto, totale. A furor di popolo. Solo l’iconico Sandro Pertini ha ottenuto più voti nella storia dei presidenti della Repubblica. L'Italia, per fortuna, riparte dal meglio. Giusto in tempo per godersi il Festival di Sanremo.

 

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