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L’Italia liquida e la Sicilia zavorra

Fine anno, tempo di bilanci. Di solito funziona così. E anche per questo, nel nostro tradizionale speciale che trovate sfogliando questo giornale, abbiamo voluto spaziare in tutti i campi, dalla politica alla cronaca, dalla mafia ai grandi temi internazionali, dal costume allo sport. E a quello vi rimandiamo per raccontarvi il 2017. Ma, forse mai come stavolta, più che tracciare consuntivi è il caso di guardare fin da subito avanti. All’anno che verrà.

Ad un 2018 che vogliamo definire l’anno delle svolte. O almeno questo è il nostro auspicio. E proviamo a spiegarvi perché. L’opportuna decisione di Mattarella – presidente silente ma tutt’altro che evanescente - di anticipare di qualche settimana il rompete le righe, ci ha risparmiato uno stillicidio di disfide verbali e paralisi sostanziali, al tramonto di un Parlamento che si è andato a infrangere contro lo scoglio ideologico – con annesso dibattito abbondantemente sopra le righe - dello ius soli. E dunque apre di fatto i giochi elettorali.

In un’Italia che però si appresta ad andare al voto senza (oggi) una precisa identità politica. La legislatura appena mandata agli archivi (con le Camere più giovani e più rosa di sempre) era partita nel marzo del 2013 e si era dipanata fra il tentativo fallito di Bersani, la rielezione salva-baracca e senza precedenti di Napolitano al Quirinale, i dieci mesi delle larghe intese di Letta e il suono di carica delle trombe renziane, prima del sobrio rifugio sotto le ali rassicuranti ma non amplissime di Gentiloni.

Un lustro tormentato durante il quale il Paese è comunque riuscito a non soffocare nelle secche della peggiore recessione congiunturale del Dopoguerra, che ha pur lasciato profonde cicatrici.

Con una ripresa costante ma cauta (secondo la stessa Bce il debito scende con troppa lentezza) che ci tiene in ogni caso lontanissimi dai livelli precrisi del 2007, al punto che la rincorsa verso il recupero di quei parametri viene da più parti definita utopica. Ma proprio per questo urge un consolidamento strutturale e istituzionale che dovrà fatalmente essere demandato al prossimo esecutivo. Il cui humus politico appare però oggi ancora particolarmente liquido e dunque poco fertile.

Da una parte c’è un Pd in piena crisi d’identità, eroso da isterie e bizzarrie di sinistra (simboli e simbolini nascono come funghi) e spiazzato da plateali implosioni moderate (vedi il declino e l’uscita di scena del pluriministro Alfano), con un segretario che ha da tempo perso appeal ancor più che consensi.

Dall’altra parte c’è un certo redivivo berlusconismo che ha riesumato antichi interpreti e sopiti consensi, ma che deve fare i conti con la scomoda e ingombrante – ma irrinunciabile? – alleanza leghista. Nel mezzo – o non si sa bene dove, in realtà – c’è il grillismo nuova versione, che tenta l’azzardo camaleontico di svestire definitivamente la t-shirt sbarazzina di movimento di piazza per indossare il gessato di partito di governo. Cosa che fatalmente lo snatura, ne sforbicia il consenso e soprattutto ne fa emergere una sostanziale mancanza di pedigree attitudinale al ruolo.

Insomma, il primo test del tanto chiacchierato Rosatellum potrebbe consegnare a marzo al Paese un affastellamento di percentuali, senza maggioranze reali e sostanziali. Al punto che già fin d’ora le succitate ali rassicuranti ma non amplissime di Gentiloni potrebbero sopravvivere ai venti elettorali, giusto per garantire comunque un governo al Paese (con il Pd e Forza Italia, senza la Lega e il M5S). Scelta saggia, se necessaria, purchè non diventi alla lunga un alibi per chi dovesse chiamarsi fuori dalla inevitabile correità delle scelte. Che dovranno essere tante, precise e perentorie. C’è in ballo il futuro di milioni di giovani. A loro va data una risposta. Auguri a chi sarà chiamato (o costretto) a darle.

Se l’Italia il suo futuro deve ancora votarlo, la Sicilia lo ha fatto meno di due mesi fa. Uscendo dalle urne con le classiche due facce della medaglia: quella vecchia della disaffezione e del disinteresse, rimasta identica a 5 anni fa (astensionismo ormai endemico attorno al 50%); quella nuova del cambio di rotta politica, testimoniato dal passaggio da Rosario Crocetta - paladino della sinistra più rivoluzionaria, arrivato solo e disarmato alla fine del suo percorso – a Nello Musumeci, esponente storico della destra più radicale, diventato presidente con un complicato e delicato intreccio di alleanze e compromessi di coalizione, destinati a periodici e robusti crash test (è già saltato il primo assessore).

Basterà per imprimere la svolta necessaria a una terra che zoppica, lontana ancora dall’affrancamento definitivo dai suoi mali oscuri e dai suoi vizi storici? Attendiamo (ancora) segnali incoraggianti e nel frattempo registriamo intenti restaurazionisti, per fortuna rivisti in corsa (vedi il caso degli stipendi d’oro all’Ars).

Sostegno concreto alle imprese (sana burocrazia, non torbida lentocrazia), revisione totale in chiave moderna e redditizia del sistema rifiuti (risorsa, non fastidio), politiche accorte e produttive del personale (precari in primis), formazione vera e non clientelare (ultimi in Europa e ancora spendiamo 200 milioni all’anno per sfornare parrucchieri, estetisti e apprendisti non si sa bene di che), rilancio degli appalti, potenziamento infrastrutturale, un welfare organico e non partorito sull’onda emotiva di disabili e carrozzine in corteo: ecco cosa ci aspettiamo già nel corso del primo anno del nuovo governo siciliano.

Senza indugi e senza tentennamenti, senza distinguo e senza infingimenti. Secondo il recente check up sul Mezzogiorno, redatto da Confindustria e da Srm (il centro studi del gruppo Intesa San Paolo), è vero che il 2017 si chiude con un «moderato ma costante» miglioramento dell’economia meridionale, ma è altrettanto vero che l’«estrema diversificazione territoriale» indicata nello stesso studio, lascia intravedere un Mezzogiorno a più velocità.

Nel quale la Sicilia – come spiega sul Giornale di Sicilia oggi in edicola Lelio Cusimano - recita la parte della zavorra. In un Sud in cui il Pil sale per il secondo anno di fila (+1%) e in cui crescono gli investimenti, grazie soprattutto al ritrovato dinamismo delle imprese (export e occupazione registrano incrementi percentuali superiori a quelli del Centro-Nord), l’Isola non spicca per curve al rialzo.

Cenerentola in molte analisi e studi di settore (le annuali classifiche a più parametri del Sole 24 Ore e di Italia Oggi sono solo due dei tanti esempi certificati), la Sicilia deve dunque ancora riemergere dalle secche della crisi che nel suo caso non è solo congiunturale ma praticamente atavica. Compito oneroso, forse arduo, per il neonato governo di centrodestra, chiamato a una profonda inversione di rotta. Urgente al punto che il 2018 non può essere considerato un mero anno di avvio, davanti a emergenze e necessità che non consentono dilazioni temporali.

Il tutto mentre dei 20 miliardi di euro del bilancio della Regione, la metà sparisce nel pozzo della Sanità, la spesa corrente surclassa ancora quella produttiva e gli 8 miliardi ufficiali di debito in carico a Palazzo d’Orleans crescono esponenzialmente se si allarga la visione alla stessa sanità, ai Comuni, ai buchi neri delle disgraziate gestioni sistemiche di rifiuti e acqua. Auguri a Musumeci (contiamo che possa rivedere in chiave più ottimistica quel suo «servono almeno due anni»), alla nuova maggioranza e alla nuova opposizione: tutti chiamati a operare nell’interesse supremo dei siciliani. Superfluo ricordarlo? Non crediamo.

Le ultime righe, infine, concedeteci di dedicarle al giornale che avete fra le mani. Perché, nel suo piccolo, anche per questo «giovanotto» di quasi 158 anni il 2018 sarà l’anno della svolta. Un mutamento epocale si è appena consumato, con il cambio della proprietà e la definizione dei nuovi assetti societari. Che fanno oggi della Ses la più grossa realtà editoriale del Sud, confluendo in essa testate importanti come il Giornale di Sicilia e la Gazzetta del Sud, le rispettive emittenti tv e radio e i rispettivi siti.

In un’ottica di sinergie e integrazioni di forze e risorse che in un settore sofferente come quello dell’editoria diventano non solo necessità di sopravvivenza ma occasione di rilancio. Lo dimostrano il già avviato progressivo arricchimento degli spazi dedicati a notiziari e approfondimenti su Tgs e Rgs o il consolidamento di Gds.it come primo sito d’informazione siciliano.

E lo dimostreranno le novità importanti che prestissimo riguarderanno proprio il quotidiano, che contiamo di rendere ancora più ricco, moderno e appetibile. Solo poche settimane di pazienza... Intanto, buon 2018 a tutti.

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