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L'omicidio del boss alla Zisa, una prova di forza non una coincidenza

No, non è casuale. Non può esserlo. Che la mafia scelga con cura le sue vittime è storicamente assodato. Ma non possono essere casuali neanche tempi e modi. L'omicidio del boss Dainotti richiama alla memoria decine di casi simili, che qualcuno riteneva di aver definitivamente consegnato alla storia degli anni bui delle mattanze col timbro di Cosa nostra. E peraltro arriva proprio mentre Palermo lustra l'argenteria del suo (reale o presunto) riscatto civico, morale e di legalità.

Per consegnarsi al ricordo, un quarto di secolo dopo, della più feroce e iconica delle azioni di sangue ideate dalle cosche. Un ricordo nel quale oggi però andranno riscritti in tutta fretta alcuni interventi già preparati a tavolino da giorni e in cui l'accento scalerà dalla memoria all'attualità, dalla storia alla cronaca.

Perchè l'omicidio di ieri sposta prepotentemente equilibri di forza e teoremi di sociologia radicatisi nelle coscienze e nelle analisi durante questi 25 anni. «Quando qualcuno ritiene che la mafia non c'è più o che è stata debellata, succede qualcosa che conferma che la mafia è sempre là», commentava ieri a caldo il Procuratore Lo Voi.

Una frase che ha il peso di una sentenza: la mafia è sempre là. A far spallucce di una città che ieri mattina aveva cominciato a prepararsi – piani di sicurezza compresi - per le cerimonie di oggi, quelle che dividono da sempre i cultori della memoria dai censori della retorica. Una mafia che non ha paura di armare i suoi killer di giorno, per strada, a trenta metri da una scuola. Sotto i faccioni sorridenti sui manifesti elettorali di centinaia di candidati.

Mentre gli occhi dell'Italia cominciano a soffermarsi sul flashback della Palermo delle stragi. E gli occhi del mondo puntano lo sguardo sulla Sicilia che si appresta ad ospitare il blindatissimo G7 di Taormina. Il tutto in un momento in cui la politica si accartoccia su se stessa e i suoi vecchi malvezzi, asservita al potere torbido della corruzione e della tangente, come emerge dall'inchiesta su Trapani.

Ecco, in questo scenario, la mafia si riarma e spara, regolando conti interni. E lo fa il 22 maggio. Oggi, 23 maggio, bisognerebbe ripartire da questo. Lo si deve a Giovanni Falcone, a Francesca Morvillo, agli agenti della scorta. Martiri fra i tanti di una guerra lungi dall'essere vinta.

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