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I soliti giochi della politica

Una maggioranza d’argilla sbriciolatasi al primo tremolìo d’aula. Una Finanziaria impallinata nei suoi primi vagiti a colpi di voto segreto. Un’opposizione a prescindere, scevra da logiche amministrative a vantaggio di ripicche e vendette politiche. E l’annosa sensazione generale di un parlamento regionale che si accartoccia su se stesso, chiuso nelle sue affrescate sale e dimentico di attese concrete e aspettative reali da parte dei siciliani. Disabili in testa.

Perché se è vero che l’unico parto ieri ha riguardato i soldi per i Comuni con l’obbligo di destinarne il 10 per cento all’assistenza, è altrettanto vero che si tratta comunque di somme dovute. Anche se Crocetta continua a giurare che, a Finanziaria approvata, per i disabili si arriverà a quota 240 milioni, più di altre Regioni. Detto e ribadito che non capiamo perché si debba stanziare più che altrove a parità di soggetti da assistere, rimane il fatto che per votare questo comma si sono spese tre ore e mezzo di dibattito. E che una Finanziaria di 45 articoli è finita nelle secche delle prove di forza incrociate già al primo articolo.

Intendiamoci: sappiamo bene che basterà una riunione al chiuso di alcuni leader designati per sbrogliare in un nanosecondo la matassa del «contenti tutti, ora si vota» e dunque si potrà recuperare facilmente il tempo perso. Ma proprio questo argomenta ulteriormente la tesi di chi legge in questo gioco d’aula non un reale interesse per le sorti di chi a questa Finanziaria appende speranze ed illusioni, sviluppo o sopravvivenza, bensì logiche di ben altra natura. Non si comprenderebbe altrimenti il ricorso al meccanismo - legittimo ma un po’ vigliacco - del voto segreto, né sarebbe giustificabile un atteggiamento che mira a rompere più che a costruire. In autunno si vota. Lo sanno bene governo e parlamento e nulla di quello che succede fra Palazzo d’Orleans e Palazzo dei Normanni è in tal senso casuale o scollegato da questa scadenza. Ma lo sanno bene anche i siciliani, oggi bistrattati e che domani - ci si perdoni la rima - alle urne saranno chiamati.

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