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Voto anticipato, non sono più favole. Niente riforme senza FI

Diceva Indro Montanelli che compito del giornalista è di spiegare agli altri quello che nemmeno lui stesso ha capito. Temo che questo acrobatico esercizio toccherà la settimana prossima al vostro cronista, quando la politica italiana - provvidenzialmente anestetizzata dalla crisi ucraina, dal terremoto greco e, si parva licet, dal festival di Sanremo - tornerà in primo piano.

Dopo la rottura del Patto del Nazareno Matteo Renzi è più forte o più debole? Ha ingabbiato la minoranza del Pd o ne è stato ingabbiato? E Berlusconi sta stringendo Fitto e Verdini o dipende da loro? Il centrodestra nel suo complesso ha deciso di correre per vincere in Campania e nel Veneto o vuole farsi ancora del male? Cominciamo dall'inizio. Il segretario - presidente, sceso personalmente in campo durante la battaglia parlamentare (anche fisica) di queste ore per rincuorare il proprio partito - sembra il Signore che rimproverava i suoi discepoli intimoriti dal mare in tempesta («Uomini di poca fede», l'altro Matteo 14,22-36). Invincibile, incrollabile. Deciso ad allargare la maggioranza a qualunque costo («Se qualcuno vuole venire dietro di me, prenda la sua croce e mi segua», naturalmente con la prospettiva del Paradiso. Sempre Matteo, 16-21-27). E se l'opposizione abbandona l'aula, se ne fa una ragione. Tutto questo in apparenza. Perché se si scava, si scopre che quando parla di elezioni anticipate (anche con l'odiato sistema proporzionale in vigore) Renzi non favoleggia più di tanto.

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